«Non siamo più granelli di sabbia ma un’unica roccia». Questa frase ha il sapore della leggenda e a dirla è Stefano Bettinelli che, in neppure due settimane di lavoro sulla panchina del Varese, ha rianimato una squadra morta nell’anima e nello spirito.
L’allenatore più adatto per i biancorossi è rimasto disoccupato per otto mesi e poi la società ha aperto gli occhi e ha chiamato in panchina l’uomo che sta ricostruendo la forza del Varese e cioè il gruppo. Giocatori che prima erano muti e chiusi in se stessi ora parlano e sono pronti a dare consigli ai compagni. Chi era ripiegato solo sul proprio interesse, adesso pensa al bene comune, patrimonio su cui si fonda lo spogliatoio. Tante individualità sono diventate una sola e la squadra si è trasformata in un’enorme e potente calamita, in grado di attirare su di sé valori positivi.
Fischi ingenerosi
L’emblema della ricostruzione del gruppo non è uno solo ma è racchiuso nei tanti piccoli gesti che si sono visti durante gli allenamenti di questi già indimenticabili 13 giorni, in cui Bettinelli ha preso nelle sue mani sicure il Varese.
Un’immagine, però, più di tante altre, fa capire come in casa biancorossa non esistano più i singoli ma un unico complesso di persone, che amano stare insieme e si considerano una cosa sola: mentre Di Roberto lasciava il campo, sommerso dai fischi dei tifosi, dopo essere stato sostituito nel secondo tempo della gara di venerdì con il Siena, Bettinelli e tutti i giocatori della panchina applaudivano e abbracciavano platealmente l’esterno sinistro. Un modo per far capire che chi se la prendeva con Di Roberto stava bersagliando anche Neto,
Pavoletti, Forte e tutti gli altri perché adesso il Varese non è più fatto da tanti individui ma è un insieme di uomini veri e unici che si considerano la stessa persona. Bettinelli rivendica, con orgoglio, questa nuova natura della squadra e difende i suoi: «Il pubblico paga il biglietto e può dire quello che crede. Ma i fischi a Di Roberto sono stati ingenerosi e mi hanno fatto male. Già durante il riscaldamento era stato beccato da chi gli gridava “svegliati”. Anche se non sta attraversando il periodo migliore della sua carriera, ha giocato con il cuore e ha dato tutto quello che poteva: non bisogna prendersela con chi lotta con coraggio».
Vinciamo lo stesso
Il coraggio non è mai mancato a tutto il Varese, durante una partita incominciata con un torto arbitrale perché l’arbitro Gavillucci, autore di una pessima prova, non ha fischiato, al 2’, un netto rigore che avrebbe dovuto portare pure l’espulsione del portiere Lamanna.
Con Bettinelli la squadra non ha subìto il contraccolpo psicologico, come invece era sempre accaduto durante il campionato davanti alle prime contrarietà e difficoltà, ma ha sempre creduto di farcela: «Il rischio – dice l’allenatore – era di perdere tranquillità e concentrazione ma ho cercato di mandare subito i giusti messaggi ai ragazzi a cui ho gridato: “Nessun problema, questa partita la vinciamo lo stesso”. Ci hanno creduto e sono stati premiati».
Alla fine, arroventata dal dito medio e dagli insulti di Beretta (una giornata di stop) a Bettinelli, il successo non è bastato a strappare la salvezza che sarebbe arrivata se il Lanciano avesse battuto il Cittadella: «Lo 0-0 fra le due squadre – commenta Bettinelli – era già scritto da tempo e, in effetti, a Lanciano non ci sono stati tiri in porta.
Ho visto i miei giocatori piangere al rientro negli spogliatoi perché volevano festeggiare la salvezza che dovremmo invece andare a conquistarci nel playout con il Novara».
Un signor allenatore
Le date dello spareggio – andata fuori casa venerdì 6 giugno e ritorno a Masnago il 13 – coincidono con quelle delle domeniche in cui i biancorossi avevano giocato le finali dei playoff per la B contro la Cremonese, quattro anni fa: «Il 13 giugno del 2010, Sannino era stato espulso ed ero rimasto io in panchina vivendo la promozione con incredibili emozioni. Adesso dobbiamo difendere la B sapendo di essere costretti a ripartire da capo: dopo le due finali che abbiamo appena affrontato ce ne restano due decisive. Non è facile ma, lavorando sulla testa e sulla mentalità ce la faremo. Io ci credo».
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