Il mondo intero è ancora scosso dal vile attacco alla redazione del settimanale satirico Charlie Hedbo. Anche noi ci interroghiamo sul perché, sugli errori, e mettiamo sul piatto la nostra opinione, confrontandoci anche con il nostro vissuto quotidiano.
Perseguire l’integrazione è un’utopia? A Varese no. E ci sono esempi che lo testimoniano. La famiglia , perfettamente inserita nella vita della città e della provincia, ha saputo farsi voler bene. Achraf qui è cresciuto, nelle nostre giovanili, ed ora sorprende in serie A. Chi lo ha visto crescere, , ha visto passare tanti altri ragazzi musulmani per le squadre del settore giovanile del Varese.
Attraverso lo sport, secondo il Caccia, l’integrazione esiste ed è
possibile: «Da quando esiste la scuola calcio del Varese, abbiamo avuto tantissimi ragazzi musulmani, dal nord Africa e altre zone. E vi assicuro che non c’è mai stato nessun problema di integrazione sotto questo aspetto. Perché non devi accettare qualcuno, siamo tutti qui per la stessa cosa, per divertirci assieme. Tutti lo sappiamo, nessuno si crede superiore o diverso da qualcun altro».
È difficile, pressoché impossibile per fortuna, che tra i bambini emergano discorsi legati a Charlie Hedbo. Ma con i genitori si parla, si discute e si crea un dialogo. Però in situazioni come questa, un pensiero accomuna tutti quanti: «Quando hai a che fare con individui come questi attentatori, diventa quasi inutile scandalizzarsi. È invece normale, umano, che ci siano reazioni quasi razziste, islamofobe. Dal punto di vista di una persona, ogni reazione a tragedie del genere è comprensibile».
Lo sport, il calcio in questo caso, vive però una realtà diversa: «Noi parliamo, discutiamo di avvenimenti del genere, con i genitori chiaramente più che con i bambini. E ci accorgiamo che il mondo non ruota solo attorno ad un pallone da calcio. Ora, a memoria, abbiamo circa una ventina di ragazzi di altre religioni nel nostro settore giovanile. Però ci rendiamo conto che noi viviamo in una fiaba, quello che facciamo è puro divertimento. Il mondo fuori è qualcosa di completamente diverso, però lo sport deve essere in grado di dare l’esempio, e non sempre lo è stato».
Il pensiero del Caccia si rivolge anche agli scontri che hanno caratterizzato pochi mesi fa la sfida tra Serbia ed Albania: «Quello della bandiera calata con un drone, è l’esempio lampante di ciò che lo sport non deve essere. Si è utilizzato un evento sportivo per fare propaganda, appositamente per esasperare gli animi. La missione dello sport è un’altra. Chiaro che non può cambiare le cose, ma può almeno tentare di tracciare la strada».
E di situazioni da citare ce ne sono tante: «Riunire gente di due o più religioni diverse in una squadra si può, come fece il Vate Valerio Bianchini in Libano (l’ha riportato in questi giorni in un post su Facebook). Oppure, esulando dallo sport, l’orchestra di israeliani e palestinesi guidata da Barenboim. Sono bellissimi esempi, però durano un tempo circoscritto. La vita reale è diversa, purtroppo».
E il Varese continuerà su questa strada, per dare un esempio di integrazione e accettazione: «Da noi giocano nordafricani, danesi e bimbi da ogni parte del mondo. Non c’è distinzione, non abbiamo problemi. Ripeto, ciò che ci unisce è il divertimento. Non ci sono gerarchie o differenze. Ci si inquina quando si diventa più grandi. Ma io continuerò a ripetere che il problema non è mai la razza, la religione o il colore della pelle. Il problema è l’uomo ed il suo cervello. Noi vogliamo fare la differenza».