La cosa bella del dibattito andato in scena l’altra sera sul palco del Santuccio è che abbiamo avuto modo, tutti quanti, di conoscere meglio i candidati che ci stanno chiedendo il loro voto. Perché hanno accettato di presentarsi così, in un modo diverso, mettendo in mostra un volto che forse non avevano mai mostrato.
È vero: abbiamo dovuto sacrificare un po’ di “cinema” per andare incontro alle regole della politica e della campagna elettorale. La prima parte della serata è
dovuta giocoforza scivolare via facendosi spazio tra le gabbie di domande fisse e tempi stabiliti. A tratti un po’ noioso, forse: ma volevamo regalare a tutti lo stesso palcoscenico (perché per noi non ci sono candidati “big” o “scartine”, come qualcuno ha provato a insinuare). La seconda parte del dibattito ha messo sul piatto un po’ di pepe, i candidati hanno risposto a domande e ne hanno poste delle altre, si sono rivolti al pubblico presente ma allo stesso tempo a tutta la città. Chi scrive era sul palco con loro, e ora ha voglia di dire quello che ha visto da quella posizione diversa.
Tanto rispetto reciproco. Che è una cosa positiva, perché è bello che nessuno sia caduto nella tentazione di alzare la voce per attaccare l’avversario, scimmiottando le peggio abitudini dei politici da talk show. Ma allo stesso tempo è una cosa che denota la poca esperienza dei candidati alle regole dell’agone politico. Tutti hanno il loro percorso e tutti hanno fatto la loro strada, nessuno ha (ancora) l’abitudine alle schermaglie proprie della vita amministrativa: un Attilio Fontana, l’altra sera sul palco, dialetticamente si sarebbe mangiato tutti i candidati. Questo significa che avremo una campagna elettorale diversa (ci sono buone probabilità, per dirla tutta, che il prossimo primo cittadino di Varese sia tra i più giovani nella storia della città).
Avevamo pensato di dare i voti a ogni candidato, un po’ come abbiamo fatto centinaia di volte dopo una partita di calcio o di pallacanestro. Invece no, non daremo voti, ma di ogni candidato diremo quello che ci è piaciuto di più e quello che ci è piaciuto di meno.
Francesco Marcello è il meno politico di tutti quelli saliti sul palco, che già di loro politici non sono: però ci è sembrato sincero il suo trasporto quando ha parlato di disabilità. Paolo Orrigoni nella prima parte del dibattito ha dato l’impressione di avere gli occhi troppo fissi ai fogli che teneva in mano, ma poi è stato superbo nella gestione della seconda parte: la domanda posta al moderatore invece che a un candidato, la serenità nel rintuzzare gli attacchi. Davide Galimberti è salito sul palco nonostante la febbre e la voce bassa: ci è sembrato un po’ spento, ma in molti al suo posto avrebbero declinato l’invito e invece lui c’è stato. Ha degli argomenti validi dalla sua e la capacità di farsi ascoltare, ecco perché secondo noi non deve battere troppo sulla “discontinuità rispetto al passato”: perché, piaccia o no, anche Orrigoni è a suo modo un candidato nuovo. Flavio Pandolfo è sembrato quello più di tutti a suo agio con un microfono e davanti a una platea. Ha detto cose molto simili a quelle dette da Galimberti: correranno insieme, in caso di ballottaggio? Stefano Malerba ha saputo toccare i tasti giusti e strappare qualche applauso “extra claque”: sarà decisivo, ne siamo certi, in queste amministrative.
In chiusura, una risposta a chi dalla platea ha urlato la sua rabbia perché non è stato toccato l’argomento cultura. Il tempo era poco, e abbiamo deciso di affrontare altri temi: sicurezza, famiglia, urbanistica, disabilità.
La cultura, tematica che senza dubbio merita tutta l’attenzione di chi amministrerà Varese e che ci è molto cara, secondo noi viene un passo dopo queste cose.