I genitori rinunciarono al risarcimento: «Vogliamo solo giustizia per Giada»

Madre e padre della giovane studentessa chiedono che si vada in appello per un aumento di pena

Hanno rifiutato un risarcimento di quasi un milione di euro i genitori di Giada Molinaro, la giovane studentessa di soli 17 anni investita e uccisa intorno alle 23 del 14 settembre 2016 in via dei mille a Varese dal pirata della strada Flavio Jeanne. Il ragazzo, cuoco di 22 anni, condannato a sei anni per omicidio stradale lo scorso 29 marzo. I genitori di Giada hanno rifiutato perchè volevano «essere parte attiva nel processo. Parte civile»,

avevano spiegato all’epoca assistiti dall’avvocato Corrado Viazzo. A loro non importava del risarcimento, ma di avere «giustizia per Giada». Il pm Massimo Politi aveva chiesto una condanna a 7 anni e 8 mesi: ovvero il massimo, considerato il rito abbreviato al quale Jeanne era stato ammesso con relativo sconto di pena, ma il giudice ha pronunciato una sentenza di condanna a sei anni per omicidio stradale. «Vogliamo l’appello», dicono oggi i familiari di Giada. «Vogliamo l’appello affinché vi sia davvero giustizia». Troppo bassa la pena inferta a Jeanne per omicidio stradale, secondo i genitori che già all’epoca della condanna in primo grado avevano sottolineato: «avrebbe potuto dargli di più. Avrebbe potuto dargli il massimo così come chiesto dalla procura. Procura che ringraziamo per il lavoro svolto: ha fatto tutto il possibile». E oggi i familiari tornano a chiedere l’appello. Non possono farlo in modo diretto, al massimo possono intentare una causa civile, ma non potranno mai ricorrere in secondo grado a livello penale quali parti civili, in secondo grado. Lo possono fare la procura, alla quale i familiari si appellano visto che il pm aveva chiesto una condanna di un anno e 8 mesi a quella comminata poi a Jeanne. E lo potranno fare le difese di Jeanne che al momento della condanna in primo grado avevano parlato di «bravo ragazzo» di giovane spaventato che non si sarebbe fermato perché «in quanto di colore aveva paura di essere linciato», aveva detto il difensore Alberto Talamone, contraddetto più volte dal giudice nelle motivazioni della sentenza. Lo stesso Talamone aveva dichiarato al termine del primo grado: “valuteremo le motivazioni di una sentenza per noi equilibrata, poi decideremo se ricorrere in appello”. Ora sono i familiari ad appellarsi alla procura affinchè il secondo grado abbia luogo. Il gran rifiuto dei genitori di Giada di quel risarcimento da quasi un milione ha sollevato l’Italia intera. Erano tutti al loro fianco. «Non si è mai pentito davvero», dicono i genitori. «Non lo ha mai fatto». E in questo aspetto è d’accordo anche il giudice che nelle motivazioni della sentenza scrive in modo esplicito che da parte di Jeanne «non è mai stato mostrato alcun sincero pentimento».

Lo stesso gup, in sintesi, scrive che Jeanne si è pentito opportunamente quando é stato arrestato. Ha cercato di dare la colpa dell’accaduto a Giada in sede di interrogatorio, cambiando la sua versione e dicendo che la ragazza si sarebbe slanciata in strada, ha mentito ai genitori dicendo anche a loro di aver investito un cinghiale e ha chiesto, lo dice il giudice, alla fidanzata di mentire mantenendo con i genitori la storia del cinghiale: «Vogliamo l’appello».