In edicola da ieri fino a martedì prossimo, allegato al Corriere della sera, è possibile trovare “Il flagello di Roma” (Rizzoli, 2013), romanzo storico dello scrittore varesino , inserito nella collana “La storia come un romanzo”. Il libro, già finalista nel 2013 al premio Fiuggi-Storia uno dei più importanti riconoscimenti italiani per la narrativa storica, è stato infatti selezionato fra i migliori romanzi storici della narrativa mondiale.
Come si può immaginare: vedere il mio romanzo inserito in una selezione di opere dei migliori narratori storici internazionali è una gratificazione incredibile. Nella stessa collana ci sono nomi del calibro di Mika Waltari, di Valerio Massimo Manfredi, di Simon Scarrow e di Steven Pressfield, l’autore di “Io, Alessandro”, romanzo storico su Alessandro il Grande che avevo letto diversi anni fa, proprio mentre cercavo le suggestioni giuste per scrivere la storia di Brenno. Se penso a quando, da ragazzino, volevo diventare scrittore e pubblicare i miei romanzi, vedere il mio nome inserito accanto a questi mostri sacri mi sembra un sogno. Ho lavorato molto per farcela e devo ringraziare soprattutto due persone: Franco Maccagnini, che per primo mi incoraggiò a scrivere, e naturalmente il mio agente, Piergiorgio Nicolazzini, che ha saputo tradurre i miei sogni in realtà.
La primissima ispirazione per scrivere questo romanzo che io avevo intitolato “Brenno – La furia del Corvo”, mi è venuta nel 1995, dopo la visione del film “Braveheart”. Ero uscito dal cinema pensando che un giorno avrei scritto una storia simile e l’avrei ambientata il più possibile vicino a dove vivevo io.
Dovevo solo trovare l’eroe giusto.
Quando, più di quindici anni dopo, mia sorella mi ricordò la storia di Brenno, capii che l’avevo trovato. Il popolo di Brenno, i Celti, era un popolo molto lontano dall’idea di “barbari brutti, sporchi e cattivi” tramandataci dagli autori latini. Al contrario, era un popolo molto evoluto nella cultura, nei costumi e nelle conoscenze scientifiche, che viveva in perfetta simbiosi con la natura ed era motivato dalla ricerca dell’avventura, oltre che strutturato secondo gerarchie meritocratiche.
Quello dei Celti era un vero e proprio mondo alternativo in cui mi sarei sentito molto più a mio agio rispetto a quello in cui viviamo. Con l’impresa di Brenno, quel mondo, seppur momentaneamente, aveva vinto contro la civiltà progenitrice della società attuale nata con l’antica Roma: la civiltà delle città, delle strade, della burocrazia… Una vittoria incredibile, anche se di breve durata, che lascia aperto l’interrogativo su come sarebbe oggi il mondo se fosse basato su una società più in armonia con la natura e, quindi, con l’uomo stesso. È questo il messaggio che ho voluto esprimere e raccontare con il mio romanzo».
E sembra che ci sia riuscito per la critica e per il pubblico: qualche anno fa un suo lettore, stregato dalla lettura di “Il flagello di Roma” gli ha inviato persino una foto che documentava il tatuaggio, su tutta la schiena, dedicato al romanzo.