I profughi libici verso Lonate? Ecco il Campo della Promessa

LONATE POZZOLO L’atmosfera è quella da videogioco ambientato nella seconda guerra mondiale. Una caserma militare dismessa, sventrata e abbandonata a se stessa. Una recinzione con filo spinato rimessa a nuovo dopo i lavori di prolungamento della superstrada 336 che passa di fianco è abbastanza per delimitare un’area di proprietà del Ministero della Difesa ma per la quale, in virtù del federalismo demaniale, il Comune ha fatto richiesta formale di acquisizione.
Non è sufficiente però perché chiunque possa mettere piede all’interno

aggirando il recinto e passando attraverso il bosco per scaricare rifiuti (parecchi quelli che abbiamo trovato), commettere qualche altro tipo di attività illecita oppure semplicemente, come ha fatto «La Provincia di Varese», sincerarsi di persona delle condizioni degli stabili dove si è ipotizzato che possano essere accolti i profughi provenienti da Lampedusa. Ipotesi che ieri l’ufficio di presidenza della Regione ha smentito. O meglio ha precisato non essere stata formulata da Roberto Formigoni. «Il presidente non ha mai fatto riferimento specifico a Malpensa. E comunque la decisione sui campi profughi viene presa dal ministero dell’Interno e non dalla Regione».
Tornando all’area lonatese – che comunque coincide al cento per cento con l’identikit formulato da Formigoni, in risposta a una domanda sull’ipotesi Campo della Promessa – oggi si presenta con cinque edifici fatiscenti, più una grossa tettoia, inseriti nella vegetazione e una enorme spianata delimitata dal depuratore di Sant’Antonino, dalle cave Seratoni e dalla superstrada di Malpensa dove fino a qualche decennio fa si tenevano esercitazioni belliche e dove dimoravano gli stessi militari. Ora invece la costruzione più alta visibile dall’esterno è uno scheletro di cemento di quattro piani fuori terra completamente sventrati. Probabilmente un dormitorio.
Le altre costruzioni, più basse e riconoscibili per il colore panna, sono completamente in balia di verde che cresce incolto e degli agenti atmosferici. Non hanno più tetto, infissi, serramenti e stanze in grado di accogliere delle persone. Quello che rimane delle finestre sono pezzi di vetro sparsi sul pavimento e degli intonaci l’umidità sulle pareti. I vecchi servizi igienici sono completamente deturpati così come muri e soffitti crollati o fatti a pezzi in più punti.
Di fianco a quella che doveva essere stata una vecchia rimessa c’è un cartello con la scritta «Refettorio» e la saracinesca abbassata.
Mentre mercoledì sembrava allontanarsi l’ipotesi lonatese, ieri è di nuovo tornata alla carica la possibilità di vedere allestita qui una tendopoli. Il sindaco Piergiulio Gelosa (Pdl), dopo una mattinata passata a rispondere a domande ed interviste di giornali e testate nazionali, ci accompagna in fondo a via XXIV Maggio. Là dove si trova il cancello d’entrata dell’ex campo militare. «Qui non siamo nel deserto – dice il sindaco – ma a pochi chilometri da un aeroporto internazionale e da città importanti come Busto e Gallarate». E, comunque, chiarisce, «per quel che ne so io siamo nel Comune di Lonate e non di Castano come ho sentito dire». Indice del fatto, a suo dire, che chi avrebbe indicato l’area non saprebbe nemmeno in che paese si trova. «La situazione è insostenibile – spiega – per via di un problema di urgenza, economicità e sicurezza: serve tempo e denaro per rendere usufruibile la zona e non è escluso che debba essere bonificata dalle bombe». 
Gelosa intanto ringrazia per il lavoro bipartisan dei consiglieri regionali varesini a sostegno della causa lonatese e aspetta un incontro chiarificatore dei primi cittadini del circondario e del Parco del Ticino con il governatore lombardo Roberto Formigoni per capire se e quanti immigrati dovranno arrivare a Lonate. Sempre che non decida di rimettere prima del tempo l’incarico di sindaco come sta lasciando intendere.

b.melazzini

© riproduzione riservata