Abbiamo buttato via del tempo a guardarci allo specchio, credendo alla frottola della “nazionale più forte di sempre”. Abbiamo perso delle energie a mangiarci le mani dopo quel preolimpico di Torino, finito con una delusione cocente mescolata alla rabbia. Abbiamo sacrificato ore di sonno per gustarci un torneo olimpico semplicemente meraviglioso, pieno di storie e di partite clamorose. Questa sera l’atto finale, dall’esito forse scontato ma allo stesso tempo tutto da vedere: con i più nostalgici che pensano a come sarebbe bello vedere in campo la nazionale di quella che un tempo si chiamava Jugoslavia (agli americani quest’idea piacerebbe meno, perché ne uscirebbero con le ossa rotte…).
Ci siamo emozionati nel vedere l’ultima partita di Ginobili, orgogliosi di averlo visto esplodere qui in Italia (ma ve lo ricordate, quando venne a Varese contro i Roosters campioni d’Italia e in una partita pazzesca in maglia Viola mise a sedere tre volte Andrea Meneghin, il miglior difensore d’Europa)? Ci siamo immedesimati nelle mille e ancora mille vite della Spagna, che sembra sempre sul punto di morire e poi, no: arriva (quasi) fino in fondo. Abbiamo invidiato lo spirito della Croazia, e chi pensa che al posto loro avrebbe dovuto esserci l’Italia non ha capito nulla. Ci siamo gasati con loro, con i serbi di Djordjevic e le quintalate di attributi buttati in campo tutte le volte (lo faranno anche stasera, vedrete).
Abbiamo tifato: anche se l’Italia non c’era. Ci è mancata l’Italia? Sì, vivaddio: parecchio, anche. Perché in questo torneo ci sarebbe stata alla grandissima, e chissà, magari avrebbe pure fatto un po’ di strada (no, secondo noi non tanta).
Il punto è che ora più che mai abbiamo visto quello che serve e quello che manca per stare a questi livelli. Alla nostra nazionale non mancano le mani buone e il talento, non mancano il seguito e la voglia.
Manca un playmaker, innanzitutto. E poi manca la capacità di trasferire sul campo tutte le buone intenzioni e le promesse che puntuali, italianissime, arrivano.