A noi ci ha sempre fregato il troppo amore per la Pallacanestro Varese. E per Pallacanestro Varese intendiamo un’entità, un’idea, una storia: qualcosa che c’è sempre stata e che per quanto ci riguarda sempre ci sarà. Qualcosa che resta ed è più forte di tutti: perché uomini, giocatori, dirigenti e presidenti sono cose che passano e se ne vanno, la Pallacanestro Varese non se ne andrebbe nemmeno se dovesse scomparire.
Perché parlarne così, perché parlarne oggi? Chi lo sa: forse perché crediamo che ci sia un bene immenso e superiore alle baruffe estive, alle bombe di mercato, ai nomi sparati e agli abbagli agostani. Perché crediamo che tra poco arriverà un momento che cancellerà tutto, financo le bruciature lasciate da qualche schiaffo immeritato e da qualche coltellata: e sarà il momento in cui si tornerà a giocare.
Amare la Pallacanestro Varese significa anche e soprattutto questo: sentirsi soli quando non ci sono partite da attendere o sconfitte per cui incazzarsi, contare i giorni che separano dall’inizio della preparazione quando anche l’amichevole più piccola somiglia alla finale di Eurolega. Amare la Pallacanestro Varese significa annusare l’aria e capire che la stagione che sta per iniziare sarà bellissima, perché un’attesa così magica davvero non c’è mai stata. Amare la Pallacanestro Varese significa, per chi ha la fortuna di aver fatto della sua passione un mestiere, scrivere e raccontare quel che succede utilizzando nell’ordine cuore e penna. A volte, fregandocene di quel che potrebbe accadere dopo parole scritte e uscite dai denti.
La pallacanestro, da queste parti, è un gioco terribilmente serio: muove le coscienze e sposta l’opinione pubblica, vietato scherzare e fare dell’ironia.
Lo sappiamo benissimo pure noi, che sulle gradinate del Lino Oldrini ci siamo cresciuti e da quelle gradinate non ce ne andremo mai. Abbiamo visto di tutto, da quelle gradinate: giocatori fenomenali dei quali sapevamo vita morte e miracoli, pipponi che ci levavano sonno e appetito dal nervoso, arbitri a cui scaricare ogni tipo di accidente. E le cose non è che siano tanto cambiate quando le gradinate del Lino Oldrini sono diventate i sedili della tribuna stampa, di fianco a chi avevamo sempre guardato con ammirazione e invidia.
Abbiamo visto partite, squadre e campioni che nel nostro piccolo abbiamo cercato di raccontare. Storie che dal campo abbiamo cercato di trasferire sulla carta. Giocatori con i quali ci siamo trovati compagni di viaggio e altri con cui ci siamo scontrati, dirigenti che poi sono diventati amici e altri con i quali non siamo mai riusciti a legare.
Continueremo a lavorare così, perché crediamo sia il modo più bello di vivere questa cosa. E soprattutto ci troveremo d’accordo con tutti – anche con quelli che talvolta abbiamo mandato fuori dai gangheri – quando volerà la prima palla a due. E sarà bello abbracciarsi, idealmente o fisicamente, per festeggiare un’altra pagina di storia: una pagina che resterà, al di là degli uomini.
Francesco Caielli
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