«Passa tutto. Passano le squadre, i giocatori, gli allenatori e le incazzature. Passano persino le delusioni e il dolore. Rimangono, quelli sì, i rapporti umani: ecco cosa fa davvero la differenza». Ed è proprio grazie ai rapporti umani, che rimangono e lasciano il segno, che ieri Stefano Bettinelli è venuto a trovarci in redazione: una bicchierata per farsi gli auguri che si è trasformata in una rimpatriata tra amici. E guardarsi indietro, e raccontare i mesi passati su quella panchina, ripercorrere le gioie e le coltellate, diventa persino piacevole e leggero.
Innanzitutto perché Stefano Bettinelli ama il Varese come non ve lo potete immaginare, ed essersi seduto sulla panchina della sua squadra è qualcosa che ha riempito la sua vita. Nonostante tutto. Nonostante tutti. Non c’è tristezza e nemmeno rancore: c’è ancora un po’ di rabbia per quello che avrebbe potuto essere e non è stato, per i personaggi sbagliati arrivati a distruggere quello che si era costruito, per le bugie dette alla gente del Varese.
Parlare con il Betti di quei mesi significa parlare di un gruppo splendido, che lui era riuscito a fortificare giorno dopo giorno grazie alle difficoltà e alla crescente preoccupazione per il futuro. C’è un momento della chiacchierata che spiega tutto, ma tutto per davvero. Si chiacchiera del più e del meno e a un certo punto il Betti tira fuori il suo telefono: «Guardate questo video». È una presa da Sky, un filmato di una trentina di secondi. La partita è Lanciano-Varese, 30 gennaio 2015: Lupoli-Capezzi bum-bum per la prima vittoria esterna della banda del Betti che dopo quel successo si era ritrovata al quintultimo posto e quindi praticamente salva. Il video racconta di Lupoli che dopo il suo gol corre come un pazzo ad abbracciare Bettinelli, un abbraccio di quelli che mescolano le ossa e fanno battere il cuore. Eccolo lì, Lupoli: a incarnare tutto lo spirito di un gruppo che se nessuno si fosse permesso di distruggere, si sarebbe salvato. «Vedete, dice Bettinelli: le partite si vincono per queste cose qui. Possiamo stare ore a parlare di moduli, di tattiche e di schemi. Ma quando una squadra gioca per qualcosa e per qualcuno, vince».
Si parla. Di discorsi fatti in spogliatoio per unire un gruppo che non capiva quel che stava succedendo. Si parla, di abbracci e di altri abbracci. Si parla di persone, anzi: di una persona. Spartaco Landini. «Unico – si illumina Bettinelli – e basta. Se lui fosse rimasto al suo posto, se non fosse stato costretto ad andare in ospedale per curarsi, non avrebbe permesso a quelli di farci retrocedere». Sì, è vero: sarebbe arrivato il terzino che serviva e probabilmente sarebbe arrivato anche il mediano che avrebbe fatto la differenza. Ma no, semplicemente sarebbe rimasto Spartaco. E in una stagione che di cose belle ce ne ha date poche, resta un’immagine meravigliosa. Il giorno in cui Spartaco Landini tornò al campo, l’abbraccio tra lui e Bettinelli. «Perché passa tutto, davvero. Ma le persone restano: e io ho sempre messo gli uomini davanti a ogni cosa». Grazie, mister Bettinelli. Varese ti vorrà per sempre bene.