Il cibo da strada non è più soltanto una necessità per chi ha poco tempo per pranzare o cenare, ma è ormai diventato un culto per tanti appassionati di gastronomia, alla continua ricerca di sfiziose golosità.
In questo ambito sono nati anche degli apposti festival e quelli internazionali non ripropongono solo il ben conosciuto kebab o il gyros pita greco, ma anche altre chicche per veri intenditori: dai mici romeni (polpette cilindriche di carne bovina spesso mista a carni di maiale e di pecora, aromatizzate con pepe nero, aglio, santoreggia, coriandolo e altre spezie locali) al churrasco sudamericano. Senza dimenticare specialità estreme (e sconvolgenti) per il nostro palato come il chuanr cinese (spiedini arrosto fatti con stelle, cavallucci marini e scorpioni).
Il cibo da strada in Italia ha radici antiche e gusto inconfondibile come mostra il lampredotto: piatto povero della cucina fiorentina, a base di uno dei quattro stomaci dei bovini, l’abomaso, che è formato da una parte magra, la gala, e da una parte più grassa, la spannocchia. E a Varese che cosa si mangia per strada? La risposta ce la dà Stefano Zaninelli, chef della Bottega Lombarda di Bodio Lomnago che, settimana scorsa, era a Palazzo Estense per partecipare all’iniziativa di Slow Food “Mercati della Terra”.
Nel suo chioschetto ai giardini pubblici ha inventato alcuni cibi da strada, destinati a entrare nella cultura gastronomica del Varesotto. Gli cediamo la penna per spiegarci queste sue creazioni.
Come ho già avuto modo di dirvi nelle scorse puntate di Cucinando, vivo, da sempre, una collaborazione con Slow Food, l’ente che si propone di tutelare la materia prima più genuina e i prodotti di alto livello in tutto il mondo.
Sabato 26 aprile, è andata in scena ai giardini pubblici di Varese una bella iniziativa chiamata “Mercati della Terra” in cui non si è dato spazio unicamente alle eccellenze gastronomiche della nostra provincia come il miele, i formaggi della Valcuvia, l’asparago di Cantello o la pesca di Monate. La manifestazione era a tutto tondo e radunava anche pizzaioli: era presente , proprietario del Piedigrotta, che ha rivisitato le sue pizze, in versione cibo da strada.
Lo stesso ho fatto io, riproponendo i sapori che si trovano tutti i giorni nel mio ristorante di Bodio Lomnago, ma studiandoli in modo da farli diventare piatti da “street food”.
Questo fenomeno sta prendendo sempre più piede e si sta affermando come una moda.
È sicuramente diventato un business dai grossi numeri e l’espressione “cibo da strada” aleggia sempre più nelle orecchie delle persone e non solo di chi è goloso. Il trapizzino a Roma è un esempio di come sia diventato popolare il cibo da strada se è fatto con materia prima alta.
Chi ha l’esigenza di pranzare fuori non vuole rischiare di incorrere in spiacevoli sorprese ma deve andare sul sicuro, spendendo il giusto. Per questo mi sono reinventato tre piatti della mia Bottega, partendo dalla valorizzazione territorio. Ho reinterpretato il mio frittino di lago, con zucchine, melanzane, salvia e fiori di zucca ad accompagnare filettini di luccio, trota e salmerino: il tutto all’interno di una pastella fatta in casa.
Il risotto alla milanese è uno dei nostri classici: ho preso uno spiedo e fatto un lecca-lecca arrotondato in cui si trova il riso, cotto per tre quarti, raffreddato e messo dentro a dadini di guancina di manzo, brasato un pochino nella sua salsa. Questo lecca-lecca è fatto come un rotolo da sushi e avvolto nella pasta filo che tiene insieme il riso, saltato nel burro chiarificato con un po’ di salvia. Proprio come prevede la ricetta tradizionale milanese del riso al salto.
Il terzo cibo da strada che ho escogitato è la cotoletta milanese: ho tagliato il carré di vitello a cubettini fini e fatto degli spiedini impanati con il carré di vitello disossato. Queste tre invenzioni hanno avuto successo anche per il prezzo concorrenziale: vendevo ciascuna a due euro e mezzo e servivo il tutto in conetti di foglia di palma biodegradabile. Anche il rispetto per l’ambiente è importante e notate che anche le pagine del mio menu sono ecologiche perché fatte con alga di Venezia.
Potrei continuare a parlarvi per ore del cibo di strada ma non mi dilungo anche perché ho in mente altre sorprese che, per il momento, preferisco tenere segrete.
Posso però consigliarvi un panino che ho studiato per i miei vicini della Fattoria Gaggio. L’ingrediente indispensabile è la mortadella ma vi raccomando vivamente di andare a prendere quella del presidio slow food.
Sapete come si distingue la buona mortadella? Se dopo averla tagliata lascia la patina bianca sulla affettatrice allora è troppo grassa e quindi risulta pesante. Questo non accade con quella di slow food che è di qualità: io la sposo a una ciabattina al latte calda con pomodori dell’orto, conditi da olio e pepe, misticanza croccante, sempre rigorosamente dell’orto, e due fette di toma ossolana, più sul fresco che sullo stagionato. L’abbinamento giusto è un vino rosso fresco e vivace.
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