È uno dei volti e delle voci più amate del cinema italiano. Un attore conosciuto anche oltre oceano, con all’attivo decine di film memorabili, in Italia e all’estero.
Giancarlo Giannini ha ritirato al Festival di Locarno l’Excellence Award Moet & Chandon che domani sera sarà consegnato anche a Juliette Binoche.
Di una carriera impossibile da riassumere, che va dagli inimitabili film con Lina Wertmuller («lavoravamo anche di notte per trovare immagini sempre nuove») ai recenti 007, il Festival ha riproposto “Lili Marleen” (1980) di Rainer Fassbinder. Inoltre l’attore ha introdotto “La prima notte di quiete”, film di Valerio Zurlini del 1972 dove interpretava una parte al fianco di Alain Delon e Alida Valli, inserito nella retrospettiva locarnese sulla casa di produzione Titanus. Se non ha ancora superato la delusione per come è stato accolto lo scorso anno il suo secondo film da regista, “Ti ho cercata in tutti i necrologi” («lo riscoprirete tra anni» commenta), Giannini si è raccontato tra passato e presente.
«Ero stato a casa sua a Hollywood – reagisce alla notizia della morte di Lauren Bacall -. C’ero stato con Lina Wertmuller. Era straordinaria, talmente bella con quei boccoli biondi. Anche se Humphrey Bogart era morto da anni, ci parlava sempre di lui. La Bacall venne anche in Italia perché voleva fare dei film qui, ma non se ne fece nulla. L’ultima volta l’ho incontrata in Canada, eravamo su due set vicini».
Lo sentii varie volte per telefono perché voleva sapere tutto di quell’abito che amava così tanto indossare, e che si tenne come ricordo. L’ho poi incontrato mentre giravo “Il profumo del mosto selvatico” in California, nei vigneti della Napa Valley. Lui era molto amico di Francis Ford Coppola e venivano insieme a trovarmi. È un grande attore che se n’è andato troppo giovane. Era anche una persona molto simpatica.
In questi anni ho vissuto con persone straordinarie, ne ho incontrati tanti. Ricordo Marcello Mastroianni, quello che mi ha fatto divertire più di tutti. Lui e il suo autista erano imbattibili, mai riso tanto come con lui. Poteva addormentarsi ovunque, anche davanti alla macchina da presa. E poi stava sempre al telefono. Quando arrivava in albergo per prima cosa chiedeva un telefono e una bottiglia di gin. Antonioni mi sorprendeva sempre per la sua intelligenza.
Non fu completato perché Fernandel si sentì male sul set e poi morì. Il regista Christian Jacque era molto bravo e preparato, mi ha fatto capire tante cose. Fernandel già non camminava più, quando doveva muoversi veniva trasportato sopra delle tavole e inquadrato solo in alto. Era straordinario e ironico.
Non mi sento un attore, siete voi che mi considerate attore. Mi sento sempre un elettronico, è la cosa che ho sempre fatto seriamente. Poi ho fatto anche tanti film, ma per me è sempre rimasto un gioco. Diceva Orson Welles che fare cinema è il più bel trenino elettrico che sia stato inventato per i grandi. Sconsiglio sempre di fare l’attore, anche mio figlio Adriano non l’ho mai forzato a fare questo.
Oggi un attore può guardare tanti film del passato, una volta era più difficile. Consiglio sempre ai miei allievi di guardare gli attori del passato, anche per conoscere il loro fascino, una cosa difficile, o la si ha o non la si ha, però si può imparare molto dagli altri.
Recitare è un lavoro che possiamo fare tutti, ma eccellono in pochi, bisogna lavorare molto, dedicarsi quasi come dei monaci e studiare sempre. In tutte le cose ci si può mettere qualcosa in più. Ora con il digitale sta cambiando tutto nel mondo delle immagini ed è solo l’inizio.
Lo vedo malissimo. Sono molto legato al cinema del passato.
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