SULMONA – Il Coordinamento Agricoltori e Pescatori Italiani (Coapi) ha aperto a Sulmona il progamma di iniziative della cinque giorni dedicata al “Diritto a produrre e diritti ambientali”, occasione di riflessione e proposta quanto mai opportuna all’indomani dell’approvazione definitiva del Regolamento Ue sulla Restaurazione della Natura
L’evento di Sulmona, centrato sul “No al rewilding – Si alla tutela della Natura e delle Attività agropastorali”, si è aperto con una presidio davanti alla sede operativa del Parco Nazionale della Maiella a Sulmona ed è proseguito con un incontro all’Eremo di Sant’Onofrio, occasioni per definire i contenuti che contribuiranno, alla fine delle giornate di mobilitazione, a comporre il capitolo dedicato all’ambiente del documento finale della campagna di mobilitazione dei #99giorni.
La tragedia di Brembio
All’interno del presidio, alle 12, si è tenuta la Conferenza stampa cominciata con un minuto di silenzio in segno di lutto per la tragica morte di Satnam Singh nelle campagne di Latina e di Pierpaolo Bodini, morto ieri nelle campagne di Brembio in Lombardia, per testimoniare come gli agricoltori che si stanno battendo per l’agroecologia e la sovranità alimentare come strumenti per affermare la giustizia ambientale sono i primi a rivendicare il rispetto della dignità e dei diritti del lavoro (dei braccianti, degli agricoltori e dei pescatori artigianali) come prima garanzia per il rispetto dei diritti sociali ed economici.
Nella Conferenza stampa il Coapi ha ribadito come la protezione dell’ambiente naturale non può risolversi in una “mummificazione del territorio”. Da qui il no deciso al Rewilding, “un’idea antistorica, che non tiene conto della presenza dell’uomo come parte dell’ambiente naturale e della sua capacità di gestirlo, manutenerlo e viverlo”.
Obiettivi di grande attualità in Abruzzo, dove la convivenza con tre parchi nazionali (Maiella, interregionale di Abruzzo, Lazio e Molise, Gran Sasso e Monti della Laga) e il parco regionale del Sirente – Velino diventa sempre più complessa, per i vincoli crescenti che limitano di fatto la costruzione di un sano equilibrio tra attività umane e natura.
Il documento
Dopo il presidio, in cui sono intervenuti in diversi, l’iniziativa si è spostata per la redazione di un documento di proposte (che saranno assunte nel documento generale della campagna dei #99giorni) all’Eremo di Sant’Onofrio, luogo di alto valore simbolico voluto da Papa Celestino V, che abitò la Maiella in armonia con la natura, primo a costruire un percorso di gestione della montagna .
Dino Rossi del Cospa Abruzzo, in conferenza stampa ha dichiarato: “Il presidio di oggi a Sulmona prelude ad un convegno che terremo presto a Pescasseroli, alla Tana del Lupo, sede del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. La questione che intendiamo porre è che oggi abbiamo due specie in via di estinzione, l’orso e il pastore. Perché in questi lunghi anni la specie minacciata di estinzione (orso bruno marsicano) consta sempre dei soliti 50 esemplari, mentre sono stati spesi tanti soldi dal Parco senza riuscire a tutelare realmente la specie?”
Un Parco “a misura di orso”
“Noi chiediamo un Parco a misura di orso, perché questo plantigrado purtroppo entra in competizione alimentare con cervi, che si muovono anche in branchi di 400 esemplari, e cinghiali, che ormai sono ovunque, popolazioni di ungulati che ad oggi, proprio perché non gestite, vanificano ogni forma di protezione dell’orso stesso. Il tutto, mentre il Parco vuole includere nelle aree protette gli usi civici, un esproprio vero e proprio, nei luoghi da sempre dedicati soprattutto al pascolo, e al tempo stesso si chiede all’allevatore una procedura complessa, costosa e con un fortissimo e irragionavole appesantimento burocratico come la valutazione d’incidenza ambientale per autorizzarlo al pascolo e alla tenuta stessa dell’allevamento.”
Andrea Marsili, del Cospa Abruzzo, sottolinea: “Il Parco della Maiella è un geoparco Unesco, la presenza di ominidi è testimoniata in questi territori praticamente da sempre, ma oggi lo spopolamento minaccia seriamente la presenza dell’uomo. Un processo in accelerazione spinto da sempre nuovi vincoli ambientali; servono sempre più carte e burocrazia per pascolare le pecore, una forma di colpevolizzazione della presenza umana che è ormai straripante e che è ingiustificata: abbiamo da sempre manutenuto e custodito il territorio.”
Marsili sottolinea l’esigenza di un dialogo fino ad ora mancato con gli enti parco, al fine di “Partecipare alla stesura dei regolamenti e degli impianti normativi, questo vogliamo attuare, attraverso un’azione che intendiamo sviluppare lungo tutto l’Appennino a partire dal contributo che daremo oggi dall’Eremo di Sant’Onofrio. Perché dobbiamo scongiurare la dinamica davanti ai nostri occhi che pretende di bloccare la storia umana in questi territori. Noi vogliamo restare qui con una nuova agricoltura e una nuova pastorizia”.
La transumanza in Abruzzo
In Abruzzo, ai tempi della transumanza lungo il tratturo magno L’Aquila – Foggia c’erano tra i 2 ed i 3 milioni di pecore, nel 2017 gli ovini erano rimasti in 200mila unità, oggi sono 150mila, segno che l’attività di imprenditore armentario rischia di scomparire, con tutte le sue produzioni.
Alessandro Novelli, Rete Interregionale GPS invece affronta un altro argomento, quello dei crediti di carbonio: “Come agricoltori produciamo molto più ossigeno di quanto ne consumiamo con la produzione di CO2, ma la normativa europea per farci accedere al mercato dei crediti di carbonio come venditori, vuole che le nostre aziende siano ancora più performanti e quindi ci chiede di fare ulteriori investimenti lì dove già la capacità di investire degli agricoltori è stata ridotta dalla crisi economica in atto. D’altro canto l’industria che acquista i nostri crediti di carbonio e che dispone di ingenti capitali non è incentivata a ridurre realmente le proprie emissioni, che contribuiranno nel tempo a rendere il clima e l’esercizio dell’agricoltura sempre più difficile e rischioso”.
Da qui Novelli conclude: “Anche la cessione di crediti di carbonio oggi da parte di noi agricoltori al settore industriale si pone nel lungo periodo come una forma di finanziarizzazione del danno ambientale presente e soprattutto futuro che subiamo e che subiremo; un mercato illogico, per cui gli eventuali profitti di oggi consumano l’unico capitale vero di cui ogni agricoltore dispone: la terra coltivabile.” Anche questo un tema che viene posto con forza in vista della redazione del documento ambientale del Coapi.
Gianni Fabbris, portavoce del Coapi conclude: “Vogliamo con le nostre iniziative scongiurare un rischio ormai concreto: entro i prossimi 20 anni i 2/3 della popolazione italiana vivrà nelle città, e solo 1/3 risiederà nei territori rurali. Ma a cosa serviranno a questo punto i territori rurali, luoghi nei quali coltivare solo parchi eolici, visto che la produzione di cibo sarà stata abbandonata? Resteranno solo per essere visitati nei wekend dai turisti provenienti dalle città selvaggia e inaccessibile ma da dove non si produrrà più il cibo, la cui produzione sarà delegata dal capitale finanziario a luoghi lontani devastati da modalità intensive, estrattive e industriali. Uno scenario che non vogliamo si avveri e che intendiamo scongiurare”.