Al centro della Curva, nel cuore della società, dalla rete di un campo di provincia, sugli spalti di un grande stadio: incrollabile, eterna, infinita fede biancorossa. Per Enzo Rosa il Varese è passione, appartenenza, orgoglio. E il derby col Como un richiamo a cui è impossibile resistere.
Il derby, l’unico: Varese contro Como. Punto. Quando ero piccolo, i “vecchi” parlavano delle sfide con la Pro Patria, con il Legnano, molto sentite. Ma dal 1974, con noi ragazzi che fondammo il primo gruppo Ultras, i Boys, le cose cambiarono: il Varese diventò espressione e squadra di tutto il territorio, di tutta la provincia. Così, la sfida contro i vicini di Como è diventato il vero derby. Al tempo c’era forte rivalità anche con il Novara: ma quello con il Como ha da sempre un sapore particolare, è il più sentito, quello con più pathos.
Il derby è appartenenza, difesa del territorio, orgoglio, supremazia. Ogni offesa alla propria squadra è un’offesa a te stesso a cui rispondi in modo virile, trascinato dalla passione. Nessuno vuole essere oscurato: questa è casa mia, questa è la mia squadra, qui vinco io. L’atteggiamento delle tifoserie è lo stesso qui, a Milano, a Roma, a Genova, a Torino; anche a Siena, dove il palio è un derby tra contrade: un atteggiamento che definirei… “battagliero”.
Sempre, da sempre. 21 agosto 1985, Coppa Italia: la Federazione mise Varese e Como insieme. E si affrontarono nella prima partita: lo stadio del Como era indisponibile, la spostarono a Busto; il passaparola viaggiò veloce, giù fino al mare, in Riviera; i ragazzi partirono immediatamente per Busto, letteralmente invasa dalle due tifoserie.
Certo. E non solo: anche nell’hockey. Ma posso dirti di più? Il derby è il derby, qualunque sport si giochi. Lo è per i varesini; e lo è, allo stesso modo, anche per loro.
Una bella notizia. Oggi, ci si chiede: perché gli stadi sono vuoti? Perché sono vecchi e poco accoglienti, certo. Ma anche e soprattutto perché è stato sminuito il senso di andare allo stadio: divieti, limitazioni, tessere del tifoso… Il calcio deve riappropriarsi del suo spirito, avvicinando le persone; contrasti e problemi vanno affrontati in modo diverso. Il calcio deve essere ciò che abbiamo detto prima: passione, partecipazione, senso di appartenenza. Un derby ha senso solo se ci sono i tifosi, tutti i tifosi: ci vogliono le urla, gli sfottò, i fischi, gli applausi, i boati; altrimenti è una partita normale, come le altre.
Vale un intero campionato. Si comincia a parlarne il giorno dei calendari, si arriva alla partita, si prosegue fino alla successiva. Una partita che non si può perdere: perché rischi di avere l’amaro in bocca fino alla rivincita. E per non stare male mesi, bisogna vincere. Il tifoso “normale” dice che ci può stare anche il pari… In Curva no, in Curva si vuole vincere.
Dalle nostre parti i lariani, tradizionalmente, sono “conigli”. Il più iconico è certamente quello del basket verso i canturini, il famoso “Cata sù”: e quando partiva forte si sentiva tremare il Palazzo…
Nel derby bisogna essere convinti di vincere: solo così si crea la giusta atmosfera. Ci si carica a dovere e, quando si vince, si esplode e si canta mentre i rivali restano in silenzio ad ascoltare tutta la tua gioia. Il massimo.
Un Varese che suda anche l’ultima goccia del suo sudore. In punta di piedi non si gioca: ci vuole il martello. Mai andare sotto: è una partita da uomini duri, uomini veri. Il giocatore deve essere la prolunga dei tifosi e della loro voglia di vincere. Si vede subito chi è gente da derby.
Egidio Calloni: tignoso, voleva sempre dare qualcosa in più. Cesare Cattaneo: segnò in quel derby a Busto, che eravamo sotto 1-0, partendo dalla difesa e facendosi tutto il campo perché non voleva perdere. Alessandro Gambadori, un vero combattente. E tra i giocatori recenti dico Carmine Marrazzo: furbo, scaltro, pure un po’ rissoso se necessario; ma che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.
Quello che è accaduto è noto e ciò che penso in merito l’ho detto e rimane. Ma posso dire questo: mi rimetterei in gioco mille volte per dare una mano in un momento in cui sembrano non esserci più soluzioni. Nell’estate 2015 abbiamo fatto ripartire una squadra, una società che sembrava morta; certo, sapevo che poi potevano esserci difficoltà, problemi da affrontare: ma se non fosse stata salvata, non ci sarebbe più. Ciò che conta è solo il Varese.
Certo, il richiamo è troppo forte: al derby non si comanda. Non sei tu che decidi se esserci: è il derby che decide.