Il Belgio è patria di birra e di ciclismo, volendo ti potresti ubriacare di entrambe le cose. Il Belgio è patria di ciclismo soprattutto perché quando inizia l’inferno del Nord non c’è migliore posto al mondo per godersi una corsa di ciclismo che non si limiti al solo aspetto tecnico e ciclistico. Attorno a queste gare si muove un mondo di persone, di entusiasmo, di aspettative, di lavoro e di sacrifici. Un mondo in cui però si è immerso Roberto Bof in questi giorni, avendo vissuto in prima persona il Giro delle Fiandre su una macchina di assistenza tecnica dell’Astana, la squadra del varesino Stefano Zanini.
Come un giorno di scuola. Parto dal presupposto che non ho visto né partenza né arrivo, perché non ero in ammiraglia ma su un auto Astana di assistenza tecnica. Vedi pochi passaggi della corsa in punti prefissati, per esempio al rifornimento o quando qualcuno deve cambiare le ruote. Sono momenti fugaci, in cui però hai il tempo per osservare le facce dei corridori e comprendere la fatica immane che fanno. E pensi alla vita che fanno, ai sacrifici, e a quanti bocconi amari devono mandare giù.
Che dietro una singola gara c’è un lavoro enorme, da parte di tutti quanti. E sacrifici che vanno osservati da vicino prima di lanciarsi in critiche da tastiera contro il ciclismo. La sveglia il giorno della gara è programmata alle 6 del mattino, però quando ti alzi e guardi giù i meccanici stanno già lavorando alle biciclette da un’ora, i direttori sportivi sono già sul pullman per ultimare i dettagli, per sistemare le radioline. Molta gente che segue il ciclismo non conosce questi dettagli, e sarebbe bello che ognuno di noi avesse la possibilità di vivere una corsa così da vicino. Per capire, per imparare. Non per forza dalla macchina come me, ma semplicemente da spettatore sul percorso. Perché nel giudicare il ciclismo c’è troppa superficialità, e me ne sono accorto una volta di più in questo weekend osservando da vicino quanta fatica si fa, sia in corsa che fuori.
La lezione di ciclismo che ho ricevuto è fatta da tanti particolari, ad esempio il meccanico che alla mattina presto, in base al tempo, gonfia e sgonfia tutti i tubolari delle biciclette per un’infinità di volte. Se piove le gonfia, se esce il sole le riprende in mano tutte e le sistema. E poi ogni squadra ha il suo vecchietto, il suo uomo di fiducia. Signori del posto che conoscono ogni singolo dettaglio del percorso e si propongono alle varie squadre per salire in macchina e dare dei consigli. C’è gente che lo fa da oltre trent’anni, ed è fenomenale.
La settimana del Giro delle Fiandre inizia dalla domenica precedente, è un evento nazionale. Un entusiasmo ed un attaccamento alla corsa indescrivibili, una passione per il ciclismo che si vede solo lì. Un corridore che termina il Fiandre si guadagna il rispetto di un fiammingo, che sa quanta fatica si faccia a terminare quei 260 km.
Li vedi arrivare stremati. Cancellara ha tagliato il traguardo ed è arrivato nella zone dei pullman e faticava a reggersi in piedi. Arrivano stravolti, e fanno sacrifici incredibili. Ho rivisto delle foto fatte in cima al Kwaremont, i volti dei corridori dicono tutto dopo tantissimi chilometri percorsi con un caldo anomalo per quelle zone. Si parla spesso dei vincitori, però per come la vedo io chiunque concluda un Fiandre o una corsa così dura, per me ha vinto.
Sì, anzi addirittura lo è più di quanto pensassi. Anche perché ne ha corse tantissime di gare da queste parti. Il pubblico lo riconosce e sembra di vedere delle scene tra amici, perché qui è uno di casa. Gode di un rispetto e di una stima incredibili, sia nel ciclismo che all’interno della squadra: i corridori lo ascoltano perché lui, da ex corridore, ha rispetto della fatica ed una sensibilità straordinaria. Ho visto tifosi non giovanissimi chiedergli foto, autografi. Significa che ha seminato bene nella sua carriera ed ora raccoglie in un ruolo in cui è altrettanto bravo e vincente. Noi lo conosciamo come uno che ride e che scherza, ma all’interno del team ha il carisma del leader.