Dario Fo, scomparso ieri mattina a 90 anni, era un figlio del Lago Maggiore. Non soltanto perché era nato a Sangiano e poi aveva vissuto la sua infanzia e giovinezza in altri paesi del nord del Varesotto tra cui Luino, Porto Valtravaglia, Pino Tronzano e Castelveccana, ma perché proprio dal suo vissuto sul lago Maggiore aveva tratto spunto per i suoi testi e i suoi spettacoli, oltre che per il Grammelot, il linguaggio da lui inventato,
in cui si percepisce in maniera chiara l’influenza del dialetto varesotto. E proprio la sua terra d’origine, a cui Fo aveva dedicato un libro intitolato “Il paese dei mezarat”, ieri gli ha tributato un commosso saluto e un omaggio quanto mai sentito, a partire proprio dal paese che gli ha dato i natali, lui che sin da piccolissimo ha girato tantissimi paesi del lago per seguire il padre Felice che di mestiere faceva il capostazione. «Non ho purtroppo mai conosciuto di persona Dario Fo, ma il suo nome è stato e sarà sempre legato a Sangiano ed è per noi motivo di orgoglio – afferma l’ex sindaco Fausto Pagani – anche se nel nostro paese Fo ci è solo nato, tutti i sangianesi continuano a chiamare “la curva del Fo”, il tratto di strada dove sorgeva la sua casa natale». Casa non più da tempo appartenente alla famiglia del grande attore e che si trova in via Carlo Alberto; Fo ha vissuto poi per ben sedici anni, dal 1959 al 1975 a Luino, in una casa di via Vittorio Veneto 22. «Tutto il mondo conosce i suoi più grandi capolavori – ricorda il sindaco Andrea Pellicini – ma noi amiamo ricordarlo per le sue straordinarie performance sulle carrozze dell’accelerato Luino-Gallarate, sul palcoscenico come lo stesso Fo racconta nel suo libro “Il paese dei mezarat”». Il Comune di Luino insignì l’attore della cittadinanza onoraria nell’ottobre del 1996, ancora prima di ricevere il Nobel nel 1997. «Fantastica anche “Ma la Tresa ci divide” del 1948 – continua Pellicini – commedia grottesca sulla storica rivalità tra Luino e Germignaga che proprio in quell’anno, riottenne l’agognata indipendenza territoriale dopo l’unificazione voluta dal Duce nel 1928 e mai accettata dai germignaghesi; oggi il Tresa ci unisce nel suo ricordo». A Luino è legato un altro episodio curioso della vita del premio Nobel, che lo stesso Fo ha raccontato nel suo libro. Nel 1987 si celebrarono in città i funerali del padre Felice; caso volle che avvenissero lo stesso giorno delle esequie di Piero Chiara. La banda che seguiva il feretro del padre di Fo intonò “Bella ciao” e quanti aspettavano la salma di Chiara, che doveva arrivare da Varese iniziarono a seguire il corteo funebre di Felice Fo, lasciando vuota la piazza al momento dell’arrivo del feretro del grande scrittore luinese. Fo era venuto nel 2003 a Porto Valtravaglia a presentare il suo libro, lasciando un ricordo indelebile. «Era uno di noi, il figlio del capostazione» sottolinea un cittadino di Porto Valtravaglia; «viveva in una villetta sull’angolo di via Borgato, dove ora c’è un palazzo» ricorda un’altra cittadina.