All’Arena Garibaldi di Pisa c’è profumo di calcio vero. Lo si respira fuori dallo stadio, dove scorrazzano i motorini, le macchine sono parcheggiate alla buona, i paninari vendono salamelle, acqua e birre a ripetizione, i pisani camminano disordinati vestiti di maglie ufficiali e vessilli della loro squadra. Lo si respira dentro lo stadio, dove i tifosi biancorossi, partiti in 150 dalle Prealpi, prendono posto con orgoglio nel settore ospiti: non vedevano l’ora di tornare in certi stadi, in certe piazze, a guardare dritti negli occhi certi (grandi) avversari.
Già un’ora prima del fischio d’inizio lo striscione di Passione biancorossa è al suo posto: dietro ci sono l’Antonella, il Rinaldo e il Federico, il Mario, Stefanone, Zecco e i gemelli Tres… Sventolano, le bandiere a scacchi biancorossi; sventolano l’orgoglio di esserci, l’amore per la maglia, il sostegno incondizionato ai colori del cuore, il desiderio di rivivere queste trasferte. In casa Pisa la tribuna centrale è gremita, al pari dei distinti, scoperti, sul lato opposto. Al completo la Curva Nord che guarda verso la Torre pendente: è un trionfo nerazzurro, puntellato qua e là dal rosso della Repubblica marinara. Ed è proprio dal settore più caldo del tifo toscano che, al nome Varese, si alzano i fischi: una rivale, e la sua gloria, travalicano categorie, fallimenti, cadute.
Apre il Varese e lo fa tra i “buuu” e ulteriori fischi. Poco dopo il fischio d’inizio arrivano gli ultras biancorossi, che si scaldano con un classico “Pisa, Pisa, vaff***”; l’urlo di benvenuto non tarda ad arrivare: “Varesotto pezzo di ***”: sì, ci odiamo ancora, e torneremo a odiarci presto, promesso. Dodici minuti e il Varese passa in vantaggio con Palazzolo: i pisani non si scompongono, le bandiere dei ragazzi della Curva del Varese, tra cui diversi tricolore, sembrano arrivare a toccare il cielo. Il cielo dove c’è Erika, la nostra piccola grande guerriera, che oggi gioca sulle divise del Varese: al centro, dove batte il cuore, c’è il simbolo di Fuck The Cancer; poco sopra, quello della Fondazione Giacomo Ascoli.
Mister Salvatore Iacolino, elegantemente sportivo con la nuova polo nera della società, segue la partita sulla linea dell’area tecnica: tiene le braccia dietro la schiena, dimostrando sicurezza; dà indicazioni a capitan Ferri per trasferirle ai compagni; si gode, soprattutto, una squadra su cui ancora dovrà lavorare tecnicamente ma, forse, non sul carattere: a Pisa, contro un avversario del piano di sopra, non c’è timore, ma solo coraggio e personalità, puro dna biancorosso.
I canti dei pisani sono assordanti, tra fumogeni rossi e l’urlo “Chi non salta è un livornese”. Il rapporto degli ultras biancorossi, a petto nudo, è di uno a cento, ma questo non li condiziona minimamente: dal settore ospiti si alzano “Dai Varese lotta e vinci insieme a noi”, “dicono che vado allo stadio e sono deficiente /dicono che il Varese non vince niente / ma io me ne frego, resto al mio posto / ma io me ne frego, son biancorosso!”, “per sempre ti sosterremo / ovunque ti seguirò / onora la nostra maglia / dai Varese facci un gol!”.
Dalla panchina del Varese si alza Pietro Frontini, che raggiunge Iacolino e gli consegna un biglietto, che forse in realtà è un filo della storia. La storia, che ha riportato il Varese a guardare in faccia una grande rivale (vera, storica, da odiare con ammirazione). La storia, che i tifosi scrivono partita dopo partita, trasferta dopo trasferta. La storia, che questa squadra e questa società devono costruire, senza se e senza ma, nella prossima Serie D. Per tornare da dove siamo venuti. Per tornare dove meritiamo di stare. Per tornare a fare la storia, dove si fa la storia.
Torneremo qui. Il Pisa vince, il Varese sogna
e le pagelle del Varese Calcio