Ci voleva un’estate bizzosa e dispettosa come questa per far scoppiare la moda delle secchiate gelate.
Che poi altro non sono che una rivisitazione in chiave solidale dei gavettoni di antica memoria.
Lo scherzo più economico in tutti i sensi: non occorrono mezzi speciali per riempire un contenitore qualunque di acqua gelata e neppure una fantasia particolarmente esuberante per innaffiare il malcapitato di turno con la doccia inaspettata.
Qui però ci sono alcune differenze sostanziali. La prima è che la doccia non è per nulla inaspettata, anzi, quasi invocata.
Essere “nominati” nella catena dell’Ice Bucket Challenge è quasi uno status symbol: significa che conti, che sei qualcuno, che la tua foto intirizzita farà il giro dei social network.
La seconda è che a ogni secchiata corrisponde (dovrebbe corrispondere) una donazione agli istituti che si adoperano nella ricerca per la cura della Sla, la Sclerosi laterale amiotrofica, quella che ha inflitto anni di agonia a Stefano Borgonovo e ad altri divi del football, ma che non ha risparmiato neppure ragionieri sedentari e casalinghe in pantofole.
Negli Usa a forza di gavettoni di acqua gelida hanno già raccolto più di 60 milioni di dollari. In Italia l’Aisla (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) ha incassato in poche settimane 185mila euro. Ma quando il “guerrilla marketing” prende a cuore un progetto, i risultati sono sempre sorprendenti. Tanto da scuotere anche un territorio pacioso come Varese e il suo circondario, poco incline – per storia, tradizione e Dna – a rincorrere le mode del momento. Invece, dopo la secchiata in redazione, dalla “Provincia di Varese” è partita una goccia che lungo il suo percorso è diventata piano piano rio, torrentello, fiumiciattolo, emissario impetuoso.
Pozzecco, Vescovi, Roberto Bof, il presidente del Coni Ferrario e via docciando, tutta il Varesotto si è scoperto pronto alla secchiata solidale. Tanto che a Samarate si preparano docce gelate per parroco e maresciallo dei carabinieri, a Varese si aspetta con ansia il rientro del sindaco Fontana per assistere alla sua performance, a Luino c’è chi sta organizzando una secchiata in piazza per tutti quelli che vorranno partecipare al rito solidale collettivo e poi contribuire alla ricerca con la loro donazione. Perché dopo i Vip, la febbre dell’Ice Bucket Challenge ha contagiato la gente comune, a caccia di un gesto umanitario, non di una comparsata sul web, dove la buona causa spesso si riduce a un selfie inzuppato.
In questo fervore partecipe ci sono tutte le contraddizioni che da sempre caratterizzano lo Stivale e i suoi distretti. La capacità di sorprendere, ad esempio. Michele Serra, da sempre, nei suoi corsivi al vetriolo dipinge, aiutato da qualche invenzione “padana”, questa terra come arida di umanità e slanci gratuiti: andategli a spiegare che, da Tronzano a Ferno, è invece tutto uno scroscio di secchiate gelate. O raccontatelo a chi nel “Capitale umano” di Virzì aveva visto lo specchio fedele di una landa dove gli abitanti avrebbero il cuore vicino alla natica destra, quella del portafogli.
Qui, al contrario, da sempre convivono la cultura un po’ calvinista e pragmatica dei danee e quella del coeur in man. Non si spiegherebbero altrimenti le mille iniziative filantropiche che negli anni si sono sviluppate nella terra dei laghi. Iniziative che, proprio perché nate da gente che per i danee ha profondo rispetto, resistono al tempo e alla crisi, quasi sempre gestite con lungimiranza e professionalità.
L’altra grande contraddizione chiama in causa l’Italia intera. Possibile che per trovare fondi da destinare alla ricerca si debbano sempre inventare Telethon, riffe, aste benefiche o docce virali?
Un bravo padre di famiglia cura l’educazione di figli, un Paese saggio dovrebbe investire allo stesso modo nella ricerca. Anche perché, se agli italiani e ai varesini spieghi bene dove vanno a finire i loro soldi e in che modo controlli che non vengano dirottati o sprecati, sono in pochi quelli che si tirano indietro. Con o senza docce gelate.
Marco Dal Fior
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