«Lei dove risiede?» chiede il giudice. «In Albania» risponde l’arrestato. Cancellando così anche la più piccola speranza di vedersi attenuare la misura di custodia cautelare. E infatti il trentenne albanese arrestato nel tardo pomeriggio di venerdì dai carabinieri di Besozzo con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale, false attestazioni, possesso ingiustificato di grimaldello e ricettazione, resterà in carcere sino al processo. Fissato in data 24 novembre.
Ieri la convalida dell’arresto in sede di direttissima ha visto il trentenne, senza fissa dimora e con almeno due pagine di precedenti per furto e rapina alle spalle, avvalersi della facoltà di non rispondere. Non una parola sui due complici che l’altro ieri si trovavano con lui sull’auto rubata e piena di attrezzi da scasso intercettata e bloccata dai militari: il trentenne, dopo un inseguimento lungo sei chilometri, spintoni ai militari e dopo aver fornito un nominativo fasullo, è finito in manette. I due complici, che come sospettano gli inquirenti erano con lui per ripulire appartamenti e villette nella zona di Besozzo (piaga quella dei furti in abitazione che si riacutizza sempre con l’avvicinarsi del periodo natalizio) sono riusciti a fuggire nonostante la battuta con unità cinofile tra i boschi della zona messa in campo dai carabinieri.
Essendo però il trentenne un professionista dello scasso, che ha spesso agito insieme agli stessi complici, gli inquirenti stanno cercando tra le “vecchie amicizie” dell’uomo i due fuggiaschi. L’uomo non ha fornito alcun elemento, alcun aiuto alle indagini. Ne ha spiegato cosa ci facesse su un’auto rubata con grimaldelli di ogni genere. L’avvocato d’ufficio ha cercato di proporre una misura alternativa al carcere. Il trentenne, però, si è remato contro. Sostenendo di essere appena arrivato in Italia dall’Albania (dettaglio che si sospetta essere falso) e di vivere a Milano in zona Lambrate ospite di un amico ma di non ricordare esattamente dove si trovasse l’abitazione. Per lui si sono spalancate le porte dei Miogni. E il 24 novembre andrà a processo.
Lo stesso fatto di non voler fornire un indirizzo potrebbe essere un modo per non dare indicazione su dove i complici potrebbero avere una base.