La legge permette in Belgio e Olanda ai genitori di decidere l’eutanasia di un figlio in minore età che patisce feroci sofferenze; le subirà ancora per qualche tempo; è senza speranza di vita. Domanda: li legittima a un atto di straziante responsabilità o a un gesto d’orribile egoismo? Risposta tramite un breve elenco di pensieri, senza alcuna pretesa di sentenza. Il primo. Nessuno decide sull’esistenza di un altro, ciascuno è padrone della sua sorte, fino a quando la sorte glielo concede.
Il secondo. Veder morire un figlio è il peggio che a padre/madre possa succedere, ma è peggio ancora se passa il principio che ad essi tocca di stabilire la sua fine. Il terzo. Nel caso d’una scelta d’interposta eutanasia, al dolore di una morte procurata s’aggiunge il rodere del persistente rimorso/dubbio: e se…? Quarto. La sacralità della vita rappresenta un caposaldo laico, non esclusivamente religioso. Attentarvi significa causare un’esplosione delle coscienze con ricadute larghe, inimmaginabili, pericolose. Quinto. Chiudere le porte alla speranza equivale a confliggere con la ragione, non con la fede: cure palliative/sedazione profonda sono strumenti pratici contro il male estremo, da affrontare non solo con la spiritualità della preghiera. Sesto. Pena, compassione, misericordia dovrebbero risparmiare a una tragedia privata l’intromissione pubblica, e figuriamoci quella mediatica. Settimo. Non rubare. Sì, non rubare sollievo, conforto, comprensione a chi ne ha specialmente bisogno quando sta per perdere – o ha perduto – tutto il resto. Non a ogni domanda sul mistero umano si è capaci di dare una risposta. C’è un limite a giudicare, valicabile soltanto dai presuntuosi.