Il nostro collaboratore Cristiano Comelli sabato pomeriggio ha avuto il grande onore di poter cantare, insieme al suo coro “Arcadelt” di Villa Cortese, alla messa presieduta dal papa al Parco di Monza. Questo è il racconto
di un’emozione che difficilmente passerà.
Ci sono sogni che ti bussano al cuore. Non penseresti mai di poterli realizzare, anche se quel desiderio non ti abbandona. Ma te li coccoli per bene, non lasci che se ne vadano. Vedere il Santo Padre, a pochi passi, riuscire a cantare addirittura per lui è sempre stato per chi scrive uno di quelli. Capisci poi che quel sogno lo accarezzano milioni di persone e non ne sei geloso. Anzi, lo senti ancora più tuo e più vivo.
Ero tra i coristi che hanno animato la messa di papa Francesco al parco di Monza. L’emozione è un tutt’uno con la mia persona. Non se ne stacca, ma neppure io desidero vederla divincolarsi da me.
Scendiamo dalla stazione di Monza, con un serpentone di entusiasmo disegnato dal fruscio di gioia di esserci di tutti i cori diocesani ci avviciniamo al grande evento, o meglio al parco brianzolo; scorrono davanti agli occhi immagini suggestive come quelle della Villa Reale, la nostra estasi però è per altro, è tutta per lui; si disegnano, forse anche per scaldare un po’ la voce in vista dell’intonazione dei canti per la Messa i primi cori “pa-pa Francesco pa-pa Francesco”. I tutori dell’ordine, gli esponenti della Protezione Civile, i ragazzi volontari che dispensano indicazioni preziose; tante anime di laboriosità e impegno sociale protese a un unico obiettivo: che tutto vada bene.
Entriamo lentamente al parco di Monza, cerchiamo il settore a cui ci hanno assegnati, e il cuore si fa sempre più leggero e anelante. Ci disponiamo, ognuno ha una sciarpa allestita per l’occasione per immortalare l’evento; chi la tiene intorno al collo, chi in testa; i telefonini fioriscono per scovare immagini da consegnare alla memoria; capisci di essere presente a un appuntamento profumato di mondialità e ancor di più quando vedi sventolare bandiere dell’altro capo del mondo; peruviani, argentini, persino giamaicani. E poi eccolo entrare, reduce dalla visita ai detenuti del carcere di san Vittore; scintilla dalla sua papamobile come quella presenza divina che sei lì a cercare e a celebrare al contempo.
Sguardi e cuori cercano Francesco e lo trovano. E lo sigillano nel cuore e nelle foto. Le voci sono cariche, per il papa non potrebbe essere altrimenti. Il coro polifonico del Duomo di padre Claudio Burgio ci prende per mano con le sue voci, e noi ci aggiungiamo.
Comincia la Messa, attendiamo dal Santo Padre parole di speranza di cui mai come di questi tempi abbiamo sete; e ce le regala, con la consueta limpidezza e schiettezza, trovare Cristo dovunque e specialmente in chi soffre. Preghiamo, cantiamo. Tutti insieme, raggi di uno stesso sole di amore. La Messa ci lascia il pieno delle sue parole. E guadagnamo l’uscita, gioiosi per esserci stati e per averlo abbracciato con cuore e voce. Torniamo nelle nostre rispettive città. Sicuri che lui, papa Francesco, ci ama, “cunt el coeur in man”, come direbbero a Milano. E altrettanto sicuri che noi amiamo lui e quel messaggio di speranza per il domani che ha così ben cesellato nella sua semplicità maestosa.
Le lacrime di commozione? Sì, benvenute anche a loro.