Nel mondo del calcio gli uomini come Beppe Sannino sono una rarità: lui è uno vero che ci mette sempre la faccia, esponendosi, con coraggio e senza paura, in prima persona. A costo di sembrare spesso eccessivo. In realtà, l’allenatore “sergente di ferro” è un puro che vive sentimenti autentici e si tuffa con lo slancio impetuoso dell’anima e del cuore in ogni cosa che fa. Sa essere generosissimo e l’unica ricchezza che gli interessa è quella del cuore.
Il miracolo di Sannino a Varese ha permesso alla squadra di passare in appena due stagioni dall’ultimo posto della Seconda divisione alla serie B, riconquistata dopo 25 anni, e di sfiorare, nella stagione successiva, addirittura la promozione in A. Ma il suo vero miracolo è stato quello di aver riacceso la passione dei tifosi: è riuscito a riportare la città allo stadio grazie a un carisma fuori del comune, forgiato da un intenso vissuto. Che parte dalle strade di Napoli: proprio lì,
sotto casa, il piccolo Beppe ha incominciato a tirare calci alla palla, davanti ai cancelli delle abitazioni, come se fossero delle vere porte, da allestire, all’occorrenza, anche in altri infiniti modi, suggeriti dalla briosa ed illimitata fantasia dell’infanzia. Spesa, appunto, in indimenticabili e interminabili partite, giocate per interi pomeriggi e tutte d’un fiato, inseguendo il sogno di diventare calciatore. Anzi, come dirà un giorno il futuro allenatore, «un onesto lavoratore del pallone che ama il calcio». È per la strada che Sannino muove i primi passi verso la sua professione e a Torino, città in cui si trasferisce la sua famiglia alla ricerca di nuova fortuna, andranno in scena altre coinvolgenti sfide. Beppe è cresciutello e a 12 anni la sua stoffa è già evidente. Lui è una spanna sopra a tutti e perché un suo gol sia valido è necessario, dopo averlo segnato, fare tunnel agli altri ragazzi. Un passante nota l’ispiratissimo giocatore, soprannominato «ciabattino» per le sue inconfondibili calzature. E gli propone di entrare in una squadra vera: il Madonna di Campagna. La risposta alla prima chiamata sgorga non dalla testa ma immediatamente dal cuore: «Vengo se mi diverto e mi diverto solo se i miei amici possono continuare a stare con me».
Basta questo episodio per capire che cuore grande abbia Beppe: dopo una carriera da trequartista incontenibile, soprannominato «Sannino Gigans», non ha avuto paura di andare a lavorare all’Asl di Voghera, coltivando il sogno di diventare allenatore. Ci riesce partendo dalle Juniores della Vogherese e alla sua seconda stagione in panchina, con gli Allievi, pensa in grande e la società pavese gli concede di sperimentare una sorta di ritiro con i suoi giocatori. I ragazzini trascorrono insieme la giornata: dalla mattina alla sera, prima di rincasare per la cena e il pernottamento. A far storcere il naso di qualche genitore sono le diecimila lire giornaliere da versare per il pranzo del proprio figlio: si mangia, tutti insieme, in un bocciodromo del paese. Sannino, d’altra parte, non ha paura di tirar fuori quattrini di tasca propria per affittare il campo degli allenamenti. Il gruppo viene cementato in pochissimo tempo, il campionato è ricco di soddisfazioni e porta al primato con la qualificazione alle finali nazionali.
Questo primo successo vale forse come il miracolo a Varese che tutti ancora abbiamo nel cuore e che poteva compiere solo un uomo grande come lui: un puro senza mezze misure che non ama i compromessi e che vive di valori sani e veri. Quell’uomo che da ragazzino aveva dato la prima lezione di umanità alla squadra che lo voleva a cui aveva risposto, come sempre, con il cuore e non con la testa: «Vengo se mi diverto e mi diverto solo se i miei amici possono continuare a stare con me».