Il calcio (il mondo) non è fatto di mostri, partite vendute e comprate, raccomandati e milionari viziati, traditori della patria e della bandiera. Facile sbattere in prima pagina Balotelli che spara fuochi d’artificio nel suo bagno, bruciando la casa, Vidal che arriva ubriaco in ritiro, Brozovic alticcio che passa due volte con il rosso senza patente. Fosse per noi, relegheremmo tutto ciò in poche righe miserevoli e pietose senza perdere altro tempo con chi non ne merita,
e al posto delle Ferrari distrutte o delle cure disintossicanti di campioncini che anche ieri erano sulla bocca di tutti gli esperti di mercato, o del pettegolezzo sulla vita sessuale di Cristiano Ronaldo (saranno affaracci suoi se preferisce un kickboxer a Belen), dedicheremmo titoli e pagine (ma può bastare anche un editoriale) a chi se lo merita. Come Roberto Donadoni: c’è ancora spazio per vedere un allenatore che ha la dignità e il coraggio di piangere non a comando quando entra a San Siro e lo stadio lo applaude prima che vada a sedersi sulla panchina “sbagliata” (non perché quella del Bologna non sia giusta, ma perché quella del Milan sarebbe più giusta per lui, e anche per il Milan). A proposito: la panchina rossonera la merita Donadoni molto più di tutti i milanisti che l’hanno ottenuta perché non fa il fenomeno ed è semplicemente bravo, umile, vero, umano (il più vicino ad Ancelotti).
E in prima pagina, almeno qui, c’è spazio per un calciatore (un uomo, una storia) di nome Leonardo Pavoletti che fa apparire normali gesti che dovrebbero esserlo davvero, e che nella vita reale lo sono. Gesti come la promessa mantenuta di incontrare il tifoso genoano che aveva avuto un infarto esultando al suo gol contro il Sassuolo (gli aveva già telefonato chiedendo scusa per aver messo a rischio la sua vita con quella rete). O come le scuse pubbliche per la gomitata che gli era costata tre giornate di squalifica. E come le telefonate agli amici del suo vecchio, grande Varese per mandare un saluto ai ragazzi disabili conosciuti al Franco Ossola. Un interesse non dovuto, né richiesto, né pubblico. Nessun intento di farsi pubblicità. Ed è per questo che la merita. Il calcio, per noi, si chiama Donadoni. Si chiama Pavoletti.