Congresso anticipato per la Lega di Varese. L’esito del voto non poteva restare privo di conseguenze e a settembre Marco Pinti cederà la segreteria, in ossequio a un ruolo che lo costringe alle vesti di parafulmine e a uno scranno che lo impegnerà nel mestiere dell’oppositore.
Difficile dire oggi chi ne prenderà il posto al primo piano di piazza del Garibaldino. In corsa ci sono linee, appartenenze, logiche e persino culture diverse. Pinti, salviniano convinto, ha portato in segreteria il proprio spirito ribelle,
arruffato, scanzonato. Un simpatico “anarco-padano”, dichiaratamente ostile agli accordi con Forza Italia. Per questo, inizialmente, aveva sposato l’opzione Malerba quale candidato di coalizione, salvo poi fare marcia indietro e arrendersi alle pressioni del sindaco Fontana, dell’NCD Cattaneo e del candidato Orrigoni, che della Lega Civica non hanno mai voluto saperne, ma anche dello stesso Bianchi (e dell’asse tra quest’ultimo e il Mullah Caianiello). Nonostante gli strenui tentativi di Giancarlo Giorgetti, che da subito ha intuito il madornale errore politico dei suoi “compagni di viaggio” e che fino all’ultimo ha tentato di salvare il centrodestra dalla disfatta, Pinti ha preferito ripiegare sulla posizione dominante, arrivando a prenotarsi un posto nella mai nata giunta Orrigoni.
Ora è naturale che parte delle responsabilità politiche ricada sulle spalle del futuro ex segretario. Ma sarebbe iniquo non riconoscere che la sconfitta ha origini (e paternità) che vanno ben al di là del solo Marco Pinti. Quindi, se fosse l’unico a pagarne il prezzo, la Lega non si troverebbe di fronte a una svolta. Ma al più semplice, banale e collaudato degli scaricabarile.