Le gradinate del tempio sono velate di sogni, sudore, lacrime e trionfi: cose che il vento non si è ancora portato via.
Storie, che ci arrivano sussurrate dai giorni in cui la pallacanestro era fatta dagli uomini e il Lino Oldrini esplodeva in quelle sfide che valevano una vita, uno scudetto. Quella era una DiVarese fortissima, probabilmente la più forte di tutte: aveva trionfato nella stagione regolare e tutti quanti erano convinti che avrebbe vinto il campionato. Sulla strada verso la gloria, quella torrida sera del 7 maggio 1988, la squadra di Isaac si trovò di fronte la Scavolini Pesaro allenata da Bianchini.
Semifinale, gara 3, decisiva: l’anticamera della gloria. Fu una partita bastarda e brutta, fatta di nervi, punto a punto fino al termine, decisa da un errore madornale di un arbitro: Roberto Pasetto. Che non vide quello che tutti videro e che qualche ora più tardi Aldo Giordani mostrò e rimostrò alla Domenica Sportiva nella prima moviola della storia dedicata al basket: il piede del pesarese Cook per metà sulla linea di fondo, proprio mentre il giocatore di Bianchini soffiava la palla a Thompson a una manciata di secondi dalla fine. Grazie a quel non fischio Pesaro volò a vincere lo scudetto, mentre a Varese restarono le lacrime amare. Comprese quelle di un ragazzino undicenne che le pianse tutte, seduto sul suo posto in Gradinata, e che oggi chiude un cerchio scrivendo questa intervista.
«Quel non fischio – dice Roberto Pasetto – è stato l’errore più grave della mia carriera, e me lo porto ancora dietro: mi pesa tantissimo». Padovano di nascita, fiorentino d’adozione, Pasetto è stato uno degli arbitro degli anni d’oro della pallacanestro italiana: quasi 800 partite arbitrate, una carriera sontuosa. E quel non fischio, che ancora è nella sua mente. «Fu un errore – continua – che venne subito smascherato dalla televisione. Ricordo bene, ricordo tutto. Io mi trovavo sulla linea di fondo, troppo vicino alla linea di fondo: fu un errore di posizione, prima di tutto. Ricordo che Cook andò in penetrazione e io ero concentrato sulle braccia e sul corpo del giocatore per vedere eventuali falli. Poi Cook sbagliò e Thompson catturò il rimbalzo, e io con la mente ero già proiettato all’azione successiva: quella dell’ultimo attacco di Varese, quella decisiva. Invece Cook rubò il pallone a Thompson, e io davvero non fui in grado di vedere quel piede che calpestava la linea».
Un errore grave, decisivo: «Quella DiVarese era oggettivamente la squadra più forte e sì, probabilmente il mio errore costò lo scudetto alla squadra di Isaac». Sono passati degli anni, tanti: la DiVarese, squadra bellissima e maledetta, non riuscì mai a vincere nulla (due anni dopo, sempre contro Pesaro ma questa volta in finale, ci si mise il ginocchio i Sacchetti a far crollare i sogni). Su quel “non fischio” si è detto, scritto e litigato tanto: lo stesso Bianchini, qualche anno fa, ha ammesso che in effetti quel piede di Cook era fuori dal campo. «Ma – sorride Pasetto – l’ha ammesso soltanto ora perché ormai era andato in prescrizione».
E’ giusto parlarne così, è giusto parlarne ora: il giorno in cui l’eterna sfida tra Varese e Pesaro si ripete rinnovandone il fascino. «Erano partite meravigliose – ricorda l’arbitro padovano – che ho avuto l’onore e la fortuna di arbitrare. In quegli anni io ero in quel gruppo di giovani fischietti lanciati in serie A – io, Reatto, Zancanella, D’Este – che fin dall’inizio ebbe la possibilità di arbitrare grandi sfide: questo perché proprio in quel periodo venne introdotto il sorteggio per decidere le designazioni. Anni bellissimi, in cui le rivalità e gli uomini rendevano storica ogni partita. Anni che rimpiango».
La chiusura del cerchio, appunto. E la storia che continua, intrecciandosi con il destino e giocando con il caso. Un esempio? Insieme a Pasetto ad arbitrare in quella partita maledetta c’era Luciano Baldini. A fischiare la Varese-Pesaro di oggi è stato chiamato Lorenzo Baldini, suo figlio. Ecco: non veniteci più a dire che «ma in fondo, è solo una partita di basket».