Il potere logora. Ma la mancanza di potere ancora di più. Non c’è niente da fare, l’adagio andreottiano rimane sempre valido. A qualunque livello della politica. Ed è il modo più sintetico, sebbene un po’ radicale, per spiegare la spaccatura all’interno del Pd. Davide Galimberti ha due “gravi colpe”. Ha osato vincere le primarie di centrosinistra, lui giovane avvocato non ancora quarantenne, sconfiggendo il favorito Daniele Marantelli, figura storica del centrosinistra, attorno al quale si erano schierate le principali personalità
del partito. Quindi, dopo questo “affronto”, si è pure permesso di vincere le elezioni, dimostrando di essere la persona giusta per sottrarre Varese al governo ultradecennale di Lega e centrodestra. Le ha vinte allargando la coalizione del centrosinistra? Certo. La presenza di due liste civiche “esterne” lo dimostra. Le ha vinte intercettando gli elettori di Stefano Malerba, aiutato dall’indicazione di voto di Malerba stesso? Meglio. Ha saputo raggiungere il suo obiettivo, ovvero vincere per governare e fare qualcosa di concreto per Varese. Molto meglio che fare opposizione sterile per anni, coesistendo con chi sta al governo e cercare di correre, senza troppa convinzione, alle varie tornate elettorali. Questa la sensazione data dal centrosinistra negli ultimi decenni. Cinque anni fa, a Gallarate, il Pd vinse al ballottaggio solo grazie al sostegno della Lega. Nessuno gridò allo scandalo dentro il Pd o chiese conto di questo all’allora sindaco Edoardo Guenzani. A Varese, invece, si vuole “processare” Galimberti per aver vinto e demolito ben due sistemi consolidati di potere, dentro e fuori il Pd. Fortunatamente, i cittadini lo giudicheranno sulla base dei risultati.