Ci sono dei giorni in cui fa bene staccare un po’, anche solo qualche ora. Dai pensieri, da una campagna elettorale che tira biecamente in ballo i disabili e se c’è una cosa che ci fa andare in bestia è questa qui, da uno sport cittadino che da troppo tempo non regala soddisfazioni, dal caldo improvviso in redazione, dal boccione dell’acqua che è vuoto.
Abbiamo la fortuna, noi varesini, di vivere in un posto meraviglioso: cinque minuti di macchina e si arriva al Sacro Monte,
dove è facile staccare da tutto e illudersi che il mondo sia perfetto. E abbiamo la fortuna, noi della Provincia, di avere degli amici veri che magari non vediamo per mesi ma che quando ci si siede attorno a un tavolo pare di non esserci mai lasciati: Luca Sogliano è uno di questi amici.
Ieri è andata così: un paio d’ore fuori dal mondo, a parlare del calcio che ci piace. Del calcio che ci manca. Perché è stata una chiacchierata fatta di ricordi e aneddoti, giocatori partiti dal Varese per esplodere (in serie A o in Cina, come Gabionetta), confessioni e confidenze da Genova a Varese e ritorno. No, non sveleremo nulla di quello che è uscito attorno a un piatto di burrata, prosciutto crudo e pomodorini pachino. Parleremo di un posto che è magico per la serenità che sa infondere e di una persona che affascina sempre per la coerenza con cui sopravvive in un mondo che è sempre meno il suo. Bello, guardare tutto dall’alto: Varese che brulica con quattrocento (400) candidati alle elezioni comunali in giornate senza esclusioni di colpi, una città che tutti ora stanno dipingendo più brutta di quel che è per convincere i cittadini a votarli. Bello, parlare di calcio con l’uomo che per noi rappresenta il bello di questo sport. Sì, chi diciamo noi ora si stracci pure le vesti, ma noi siamo di parte: questo giornale è nato con il Varese di Sogliano e con quel Varese è cresciuto e diventato grande (a modo suo). Un certo modo di pensare, un certo amore per le battaglie impossibili, una certa passione sconfinata per questo mestiere ci sono state trasmesse in quei giorni. Quando il lunedì pomeriggio era normale e scontato passare almeno tre ore allo stadio per parlare di quello che era successo il giorno prima (c’era Luca, ma c’era anche Ricky).
Ecco: ieri ai tavolini del “Linea 88” (ottimo lavoro, Nico) ci siamo tutti resi conto di come quei lunedì pomeriggio ci manchino. Ognuno è andato per la sua strada e molto di quel che ha fatto l’ha fatto anche grazie a quel Varese: ma quelle sensazioni, quei rapporti, quella fiducia totale nei confronti della persona che ti trovavi davanti, non le abbiamo più trovate.
Si è parlato di tutto: di presidenti come Zamparini e Preziosi e di quello che è capitato al Varese, di una serie B che non sembra vero di non essere lì a giocarsela e di una serie a in cui ormai fare il direttore sportivo “alla Sogliano” è diventato impossibile. Di allenatori sopravvalutati e di amici che hanno voltato le spalle, di progetti e sogni, della voglia di staccare per sei mesi e fare quello che la vita non ci ha mai permesso di fare (un viaggio, una corsa all’alba partendo dalla Schiranna, girare l’Europa a vedere partite solo per il piacere e il gusto di farlo).
È stata un’illusione, tornare per qualche ora ai tempi in cui il Dante e l’Enza ti facevano il caffè mentre al tavolino il Peo leggeva il giornale con Ricky. Perché se bastano cinque minuti per scappare al Sacro Monte e staccare, ne bastano altrettanti anche per tornare giù dove non tutto va come vorremmo.
Resta, quello sì, la sensazione di aver passato due ore piacevolissime e diverse. E la certezze che se anche quest’avventura dovesse finire domani, sarà comunque stato splendido averla vissuta. Grazie, Luca.