COCQUIO TREVISAGO La prova regina e incontrovertibile, quella che incastra definitivamente Giuseppe Piccolomo, la polizia ce l’aveva fin dal primo giorno – ma ancora non lo sapeva – quando Pippo era solo sfiorato dal sospetto di avere assassinato la povera Carla Molinari. Era il 25 novembre, tre settimane dopo il ritrovamento del corpo della donna nella sua villetta di via Dante 23 a Cocquio, sgozzata e privata delle mani. Quel giorno, ventiquattro ore prima di arrestarlo, la squadra Mobile aveva già sequestrato il coltello tipo Rambo sulla cui lama il perito dell’Istituto criminologico di Torino, Carlo Robino, solo adesso ha trovato tracce del Dna della donna. Il caso dunque ora è davvero giunto alla svolta che potrebbe chiuderlo definitivamente.
Allora Pippo, sulla scorta di una segnalazione – era stato visto raccogliere mozziconi di sigaretta da un bar al centro commerciale del paese, e mozziconi erano stati trovati all’interno dell’abitazione della vittima, che non fumava – era ancora un semplice indagato. E si sarebbe saputo solo 24 ore dopo che il profilo genetico della saliva trovato su quei resti di sigarette era identico a quello presente su altre cicche, raccolte dalla scientifica dal portacenere dello stesso bar.
Un indizio importante, fino ad oggi l’elemento più forte (unitamente ai tabulati telefonici, e alle riprese delle videocamere, che confermano la presenza di Piccolomo a Cocquio nel momento del delitto), in virtù del quale il pm Luca Petrucci aveva ottenuto la custodia cautelare in carcere, misura poi avvalorata anche dal tribunale del Riesame di Milano.
Ma ora l’ex imbianchino e ristoratore finito in malora (già accusato dalle figlie di avere ucciso la prima moglie, morta il 20 febbraio 2003 in un incidente stradale mai del tutto chiarito), deve spiegare come mai sulla lama lunga 16 centimetri (28 con il manico) di quel pugnale, vi fosse del sangue. Non visibile ad occhio nudo, certo, perché l’acciaio era stato accuratamente ripulito. Ci è voluta infatti tutta la strumentazione tecnica dell’Istituto criminologico di Torino per rilevare, attraverso il test immuno – cromatografico, tracce di emoglobina umana. In altre parole sangue, sangue che il dottor Robino, il perito incaricato di eseguire la perizia che vale come prova (essendo eseguita con la formula dell’incidente probatorio), scrive nella sua relazione appartenere con certezza a Carla Molinari, accoltellata, sgozzata e privata delle mani la sera del 5 novembre. Una fine atroce.
È stata trovata, insomma, l’arma del delitto: era stata rinvenuta la sera del 25 novembre sul comodino sinistro della camera da letto di casa Piccolomo a Ispra, accanto ad un altro coltello, tipo serramanico, anch’esso sequestrato. Eppure le attenzioni di tutti, media compresi, si erano dirette su un’altra lama, da disosso, trovata cinque mesi dopo ad una trentina di metri dalla villetta, accanto ad un cassonetto: si pensava fosse quello lo strumento utilizzato per uccidere la donna. Ma è risultato pulito, cioè senza tracce di Dna.
Eppure qualche dubbio resta: perché secondo l’autopsia la donna sarebbe stata colpita con un attrezzo lungo e sottile. Si era pensato anche ad un punteruolo, o ad un cacciavite. Ma il Dna è stato trovato solo sul pugnale: forse è proprio questo lo strumento utilizzato per sgozzarla.
Di certo una spiegazione logica e plausibile Pippo, che finora ha legittimamente scelto la strada del silenzio, ora deve pur darla, in primis ai suoi avvocati, Simona Bettiati e Giovanni Pignataro, ai quali ha sempre raccontato di essere estraneo all’omicidio.
Franco Tonghini
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