VARESE Benzinai di confine in crisi: il pendolarismo del pieno in Canton Ticino solo all’Erario sottrae 247 milioni di euro l’anno. Commercianti ticinesi in crisi: il pendolarismo della spesa in Italia sottrae dai loro bilanci 240 milioni di euro, dato 2011, anno del franco superstar e della diserzione della clientela italiana, scoraggiata dal cambio sfavorevole.
Salvo alcuni prodotti, nel settore dell’elettronica e dell’informatica e, appunto, la benzina, il Canton Ticino è inavvicinabile dai varesini per i prezzi e sorridono i nostri commercianti che, nei supermercati e nei negozi, servono i ticinesi. «In Canton Ticino, commercio kaputt. La spesa in Italia ci sta distruggendo», titola il settimanale ticinese “Il Caffè” e mette in evidenza che le prospettive per i negozianti restano pessime.
«Il consumatore va dove più gli conviene, soprattutto in questo momento», osserva Sergio Aureli, del sindacato ticinese Unia e che per l’Unia si occupa, tra l’altro, di frontalieri.
«È innegabile il vantaggio della spesa in Italia – continua Aureli – considerando anche il tax free, cioè il rimborso dell’Iva alla dogana sulle spese effettuate dai ticinesi in Italia. Viene rimborsato il 21% e pagano l’8%, aliquota Iva in Svizzera». I commercianti ticinesi hanno chiesto il prolungamento degli orari e l’apertura alla domenica, per contrastare il pendolarismo della spesa in Italia. In Canton Ticino, i negozi, di sabato, chiudono alle 17. Dalle nostre parti, alle 20.30 o alle 21. Il Gran Consiglio, cioè il parlamento ticinese, nel tentativo di equilibrare tutte le esigenze, è orientato a estendere l’orario di apertura fino alle 19 tutti i giorni, fino alle 18 il sabato e fino alle 21 il giovedì, come ora. Ma potrebbe essere sacrificata una delle quattro domeniche d’apertura.
Il sindacato ha finora contrastato la richiesta dei commercianti, in particolare sul lavoro domenicale e l’Mps, movimento per il socialismo, è pronto con un referendum contro modifiche sugli orari del commercio.
La richiesta, spiega Aureli, è contrastata perché non esiste un contratto collettivo che regoli minimi salariali, orari, pause e quando ci sarà una copertura contrattuale, il discorso potrebbe cambiare. «Di sicuro – conclude – è il prezzo e non l’orario a fare la differenza».
Prezzi che adesso consentono ai ticinesi di fare in Italia “il pieno” alla dispensa, carni, salumi, alcoolici, prodotti di uso quotidiano, risparmiando anche il 20 – 30% sulla spesa.
Venti per cento, è il minimo, calcolano i clienti ticinesi e spiegano che, come in tutto il mondo, partono da casa con l’intenzione di limitarsi a carne e a vino. Ma «già che ci sono», non resistono alle offerte speciali e il carrello si riempie di pasta, pane, biscotti, frutta e verdura, casalinghi e così via. Le sigarette? Si comprano in Italia, adesso. Eppure è la merce che ha fatto la storia del contrabbando tra Svizzera e Italia.
Il caffè di marca svizzera? In Italia, costa meno, come i medicinali da banco. Forse il Canton Ticino conviene ancora per i dadi da brodo, soprattutto per i dadi da brodo di pollo, ma di fatto il commercio si è rovesciato e perfino i cioccolatini si comperano in Italia. Il guardaroba, si fa in Italia.
Studi universitari – l’ultimo è del 2008 – affermano che il pendolarismo della spesa conviene entro una distanza di dieci chilometri dalla propria casa: lo sanno da tempo le catene della grande distribuzione insediate nella fascia di confine anche per intercettare la domanda che proviene da Oltrefrontiera.
Maria Castelli
s.bartolini
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