Cinque anni fa, dopo un interminabile quarto di secolo speso nelle categorie minori, il Varese è riuscito a conquistare la serie B grazie all’inesauribile forza di Beppe Sannino, capace di costruire un gruppo unico in cui tutti – dai gregari come Alessandro Gambadori ai trascinatori come Daniele Buzzegoli – sono stati protagonisti assoluti.
La promozione conquistata il 13 giugno del 2010 nella finale di ritorno dei playoff contro la Cremonese è arrivata grazie al 2-0 confezionato proprio da Buzzegoli, autore della storica doppietta. Il centrocampista, che ora è al Novara, era passato nel gennaio del 2011 allo Spezia.
Ricca di alti e bassi. Allo Spezia sono stato un anno e mezzo, conquistando la quarta promozione in B della mia carriera ma soffrendo anche per la pubalgia. Poi il Novara ha proposto lo scambio con Porcari e la prima stagione in azzurro è filata via liscia: abbiamo perso la A solo nella semifinale dei playoff contro l’Empoli. Il secondo campionato in Piemonte si è sovrapposto invece alla mia annata peggiore: a marzo mi sono rotto il crociato della gamba sinistra che ha richiesto oltre sei mesi di stop. Ma adesso sto bene e voglio giocare il più possibile.
Evidentemente il 13 giugno porta bene al Varese.
Certo. Mi sento regolarmente con Corti, parlo anche con Zecchin e ho visto Neto poco tempo fa, quando sono venuto a Varese per fare un giro in centro e riabbracciare i tanti amici che ho in città e con cui ho condiviso momenti indimenticabili. So che nelle ultime due stagioni c’è stato qualche problema a livello economico e in estate la squadra si è iscritta al campionato solo all’ultimo. Quando le certezze mancano anche la serenità dei giocatori ne risente e in campo le cose diventano più difficili.
Ho vissuto l’Alberto Picco come stadio di casa e l’ambiente è bollente. Lo Spezia poi è in salute e sarà difficile per il Varese, che dovrà fare a meno di Neto e avrà gli uomini contati. Ma conosco bene il carattere dello zoccolo duro biancorosso che non si farà di certo intimorire.
Io il bagno nella fontana non l’ho fatto: sono così mingherlino e cagionevole che potevo prendermi un malanno.
Certo ed era più facile perché a Gallipoli c’è il mare. E ancor prima, a Pisa, niente bagni ma un giro su un pullman scoperto davanti a cinquemila persone in delirio.
È stata la gioia più grande e ho sempre impressa nel cuore l’immagine della mia corsa dopo il rigore del 2-0 alla Cremonese, quando sono volato davanti ai tifosi baciando la maglia. Sento ancora quella adrenalina che sarà difficile da rivivere e penso a tutte le persone che a Varese ho fatto felici con quella doppietta.
In un certo senso per vie traverse. Sean Sogliano mi conosceva dalle parole dell’amico Gianluca Petrachi, ex direttore del Pisa, che di me gli disse: “È bravo, fidati”. Con Sean ci vollero cinque minuti per firmare e all’incontro c’era anche Sannino.
Sannino mi ha insegnato la fase di non possesso e da lui ho capito che le partite si vincono difendendo in undici. Se ora so stare bene anche al vertice basso del centrocampo, il merito è suo.
È vero e Alessandro soffriva di più il mister perché non gli piaceva correre indietro ma amava lanciarsi in attacco, dove era sempre pericoloso.
L’anno e mezzo che ho passato in città mi è sembrato un secolo e a Varese mi sono sentito davvero a casa.
Fino a un po’ di tempo fa, e soprattutto nel primo periodo non troppo brillante trascorso a Novara, non volevo dire di avere un figlio autistico perché era come se tirassi fuori un problema personale per scansare le critiche. Ora invece ne parlo perché le terapie nella lotta contro l’autismo ci sono ma sono molto care perché questo disturbo assume forme diverse a seconda dei soggetti e ogni bambino deve quindi essere seguito da un terapeuta dedicato unicamente a lui. Alcuni genitori vendono anche la casa pur di aiutare i propri figli ma quando i soldi finiscono è un colpo al cuore per tutti. Dunque sensibilizzare il più possibile l’opinione pubblica è un dovere.
Che questi bambini sono meravigliosi.
Anche se stanno in disparte o non ti guardano negli occhi non sono pericolosi e non vanno nascosti ma accettati e amati. La società sta imparando a farlo.
Ogni tanto rivedo quel tiro da lontano che passa in mezzo a tante gambe e finisce in rete tra la mano del portiere e il palo e mi chiedo come ho fatto. Credo in quello che Sannino diceva: «È tutto scritto».
È stato il destino ad aiutarmi a buttarla dentro.