Il premio per il campionato italiano non è né la maglia, appesa alla credenza, né il trofeo, in bella vista sul tavolino del soggiorno tappezzato di foto, da Fignon a Evans. No: è il tiramisù di mamma Rosita, «ma ’sti dolci non li posso mangiare, se non quando riposo», sorride goloso Ivan, che sta a casa «tre o quattro weekend all’anno».
I Santaromita abitano a Clivio in una villa in cima a una quieta stradina di campagna, incorniciata dal verde dei prati e dal blu del cielo.
Sul balcone sventola il tricolore, con l’appendice del dorsale 71: una volta i numeri di gara li collezionava la madre, adesso tocca alla fidanzata Chiara. La casa è fuori mano, ti ci guidano le scritte per terra e gli striscioni sui muri, confezionati da compaesani orgogliosi che domenica sera hanno accolto da re l’eroe di ritorno. E il fans club è schizzato da poche decine a 130 soci.
Famiglia stregata dalla bici: papà Rosario detto Rino, siciliano di Capo d’Orlando, correva da dilettante prima di salire quassù per lavoro. Stregata e segnata: il 31 luglio 1983 morì investito un altro figlio, Ivano. Antonio già gareggiava, Ivano lo sognava e Ivan spuntò di lì a poco, chiamato così per continuare la storia spezzata.
A casa Santaromita la bicicletta è una religione. Una passione vera, verissima, pulita, pulitissima. Non a caso sabato la famiglia era lì, tutta schierata al traguardo. «Non sono riuscita a guardare, credevo di morire dall’emozione » racconta la signora Rosita, che si lascia subito andare ai ricordi. I ricordi di famiglia. «All’inizio non volevo che Ivan corresse, temevo che si facesse male. Fece tre allenamenti di calcio a Viggiù e poi cambiò: mi rassegnai». E racconta del fratello Giacomo buonanima, «che faceva il muratore, ma poteva cambiar vita nella Bianchi di Coppi: si buttò via per una ragazza, che poi lo mollò».
Il primogenito Antonio, pro dall’86 al ’97, «va in bici ogni giorno al lavoro a Lugano. Suo figlio Alessandro, otto anni, pedala già con la Besanese: sarà il prossimo della stirpe».
Ivan ripensa grato a tutti i segni premonitori: «Il braccialetto di stoffa verde, bianco e rosso messo l’anno scorso. La maglietta con uno strano inserto tricolore comprata sul lago di Garda due mesi fa. La vittoria di tappa all’ultimo Giro del Trentino, sulle stesse strade di sabato».
È stanco e felice: «Stupendo sentirsi al centro dell’affetto della mia gente, come quando nel 2005 vinsi la gara giovanile dedicata a mio fratello. Vuol dire che vale anche una vita da gregario».
A ottobre…
Forse andrà via da casa: «A ottobre sposo Chiara, non sappiamo dove abiteremo». Papà Rino sbircia il terreno dietro casa: «Ah, potessimo costruirci…».
Stefano Affolti
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