– Questa sera, al Miv – Multisala Impero Varese di via Bernascone 13 – verrà proiettato “Tre – un ritorno”, primo documentario di Giacomo Coerezza, che presenta un’attraversata della Valgrande effettuata in tre giorni – dal 9 all’11 settembre 2016 – da tre compagni di cammino che riflettono sul valore dell’amicizia, del viaggio, del silenzio e del superamento di una perdita: quella dell’amico Paolo Rindi, scomparso nei medesimi luoghi il 28 gennaio 2016. «Sono diplomato alla scuola di regia –
spiega Giacomo, 25 anni – e con Paolo avevo una band dove lui era tastierista ed io chitarrista. Dopo lo scioglimento non ci siamo frequentati per qualche tempo, ma poi l’interesse comune per il cinema ci aveva fatti riavvicinare. Facevamo lunghe discussioni su come raccontare una storia attraverso le immagini e la musica: avevamo realizzato alcuni progetti assieme e in particolare lui stava allestendo la parte musicale di un lavoro che voglio terminare anche se sarà faticoso, perché lui non amava particolarmente scrivere su partitura e il canovaccio melodico è frammentario». Un Paolo inedito emerge dal racconto; di lui, rapito a soli 20 anni dalla sua amata montagna durante un’escursione nel parco nazionale di una delle zone più selvagge d’Italia ci è più noto il volto sensibile del poeta di “Chromesthesia” che si immedesima nella natura, ad essa parla e in lei trova risposte alle domande spesso tormentate dell’esistenza. «Il documentario descrive il cammino in Val Grande di tre persone riprese da un cineoperatore: mentre percorriamo i vari dislivelli Paolo si materializza continuamente nei nostri discorsi. Il ritorno in quei luoghi cari è stato un modo per superare il trauma della perdita, ripercorrendo l’amicizia che ci legava: oltre a me, nella pellicola appaiono Patrizio Pedotti, chitarrista e autore delle musiche della pellicola e Gabriele Miotto, a cui dobbiamo la fotografia. Un quarto amico, Matteo Galante, non era con noi in Val Grande ma fa parte del nostro gruppo di “esploratori” e mi piace citarlo».
Tutti varesini, amici per la pelle di Paolo sia in gruppo sia singolarmente – «per lui era molto importante approfondire l’amicizia con tutte le persone che frequentava» – fra loro il cemento sono la musica, il cinema, il viaggio. «Il primo assieme, due anni fa in estate, sono stati i 700 chilometri in Norvegia per il cammino di sant’Olav: Paolo aveva già fatto il cammino di Santiago e ce ne aveva parlato in termini entusiastici. Ma le nostre esplorazioni partivano dalla nostra provincia, esplorando luoghi naturali, le aree boschive del lago di Varese, anche fuori dai sentieri noti. Ci piaceva riscoprire i posti più nascosti, o abbandonati: poi ci eravamo spinti in Val Grande, della quale non è giusto aver paura: la montagna non è né buona né cattiva, va solo affrontata con la giusta preparazione. Il nostro non era un blocco nei confronti del luogo, che avevamo visto per l’ultima volta quando eravamo partiti alla ricerca di Paolo alla notizia immediata della sua scomparsa; questo lavoro voleva farci riappacificare prevalentemente con noi stessi. Paolo ci ha insegnato che le situazioni vanno affrontate nel modo più semplice ed autentico possibile: è per questo che la poesia lo catturava, perché è un linguaggio che riesce ad andare oltre l’apparenza delle cose e ad arrivare al loro significato nascosto. In un dialogo in Norvegia avevamo discusso sul valore della poesia: per lui era uno strumento per svelare il mondo». Ed era il mezzo prediletto di Paolo per far dialogare la sua anima con quella del creato, anche se non l’unico.