Il Varese dava sempre tutto Non chiamatelo più Varese

La figuraccia del Varese a Parma (1-4 in Coppa Italia) non è la logica conseguenza della superiorità d’una squadra di serie A su una squadra di serie B.

È l’esito d’una scelta illogica: schierare una formazione di nessuna consistenza tecnica, inzeppata di perenni riserve, di sperimentale audacia sul piano tattico, con giocatori che tutt’insieme non erano mai scesi in campo. Un azzardo sorprendente, una scommessa già perduta prima di venire lanciata, una deriva facilmente pronosticabile eppure fortemente perseguita. Il tutto in omaggio al proposito di preservare i titolari – anche quelli che sabato scorso erano rimasti in tribuna o in panchina – per la partita del prossimo turno di campionato a Carpi, che comunque si concluda non dirà nulla di definitivo (e forse neppure d’importante) sul futuro biancorosso.

Il presente invece dice molto. Anzi, il presente reclama. Protesta perchè lo si è irriso e macchiato. Non s’è tenuto conto del sacrificio dei tifosi, che nonostante gl’impegni del giorno feriale s’erano presi la briga d’andare in trasferta a sostenere i loro beniamini e credevano di vedere all’opera il miglior Varese possibile, intenzionato a compiere la grande impresa contro un avversario di pregio.

E non s’è degnata di considerazione la storia del club, che vanta per sua fortuna un passato nobile, ha un’immagine gloriosa da tutelare, conserva l’obbligo morale d’essere sempre se stesso e non può permettersi la licenza di rappresentare qualcosa d’altro. Di superficiale. Di avventuroso. Di incline al dilettantesco.

È delusa, molto delusa, la Varese dello sport. Ma non solo: è delusa la Varese anche non dello sport. Perché Varese è una città per la quale lo sport rappresenta una cifra municipale identitaria, una ragione d’orgoglio territoriale, un mezzo primario di comunicazione delle sue qualità.

Varese è lo sport, e lo sport le ha da tempo concesso l’onore di potersi definire così. Un dettaglio di sostanza, che è clamorosamente sfuggito a chi dirige la società calcistica. Un allenatore può pure, e incautamente, decidere di sottovalutare il valore d’una manifestazione; ma quanti stanno sopra di lui, a cominciare dal massimo responsabile, gli devono imporre un’immediata correzione di rotta. Questo non è avvenuto, e allarga (ingigantendole) le colpe d’una disfatta dalle inaccettabili modalità.

Quando Laurenza s’insediò al vertice del Varese, la risposta popolare fu partecipata, calorosa, entusiasta. La piazza Monte Grappa si riempì di gente che plaudiva al nuovo arrivato, gli garantiva sostegno e affetto, lo investiva della missione (giusto così: della missione) d’essere l’alfiere della bosinità attraverso il football.

Non a caso sul palco, assieme al nuovo presidente, salì il sindaco offrendogli un generoso attestato di fiducia. Non a caso si partorì la felice idea d’accostare alla tradizionale maglia rossa un’altra con la croce rossa in campo bianco che richiamava lo stendardo civico.

Non a caso si mischiò il Varese con Varese, facendone un intrigante (perfino entusiasmante) tutt’uno che corrispondeva (corrisponde) al sentire diffuso dei varesini. Tutto questo è stato scordato, e va purtroppo rinfrescata la memoria ai distratti: porgano almeno pubbliche scuse, dopo averci privato per una sera della nostra fierezza.

Varese

© riproduzione riservata