Immigrati, la Ue chiede aiuto all’Italia per dialogo con Tripoli


Bruxelles, 22 set. (Apcom)
– L’Ue ha chiesto al governo italiano di “fornire assistenza” per facilitare il dialogo con la Libia, per ora molto difficile, in modo da migliorare le condizioni dei richiedenti asilo nel paese nordafricano, con l’obiettivo di rendere possibile l’esame’in loco’ delle domande dei richiedenti asilo. Coloro che meritano la protezione internazionale potrebbero essere così separati dal flusso dei migranti clandestini per motivi economici, e accolti nei paesi dell’Ue sulla base di programmi volontari di reinsediamento.

“Ho chiesto al governo italiano – ha spiegato Barrot durante la conferenza stampa ieri alla fine del Consiglio Ue, a Bruxelles – di aiutarci ad aprire un dialogo con la Libia, spiegando che sarebbe una fortuna per l’Italia e per l’Europa se ottenessimo dalla Libia che domande di asilo fossero esaminate sul loro territorio, ciò che eviterebbe discussioni e critiche” come quelle attuali sui respingimenti.

“Sappiamo tutti – ha continuato il commissario – che per risolvere il problema bisogna che noi possiamo andare sulla costa Sud (del Mediterraneo, ndr) insieme all’Alto commissariato Onu per i rifugiati, e che possiamo identificare lì i richiedenti asilo”, sulla falsariga di quanto l’Alto commissario sta già facendo col Marocco. “Dobbiamo cercare di estirpare le cause del problema, trovare soluzioni, e non solo emettere giudizi”, ha osservato ancora Barrot, con un riferimento alle critiche ai respingimenti italiani su cui, ha detto “abbiamo chiesto molte spiegazioni, e stiamo ancora esaminando le risposte ricevute recentemente”.

Sulla necessità del dialogo con la Libia e sulla richiesta di assistenza della Commissione all’Italia per facilitare i rapporti con Tripoli ha insistito il sottosegretario agli Interni, Francesco Nitto Palma, che ha rappresentato il governo in assenza del ministro Roberto Maroni. “Ho dato alla Commissione la nostra disponibilità a favorire i contatti che al momento non sono eccezionali, fra l’Ue e la Libia”, ha riferito Nitto Paola, nel suo incontro con la stampa a margine del Consiglio Ue. Dobbiamo cercare “attraverso il colloquio, senza atteggiamenti di supremazia”, di convincere le autorità libiche a cooperare, ha detto il sottosegretario. E ha aggiunto: “Affermare che con la Libia è difficile trattare, che vi sono grandi difficoltà, che non si risolverà niente, a mio avviso significa dimenticarsi dell’esistenza del problema, e di una crisi umanitaria fortissima”.

Secondo Nitto Palma il vero problema non sta nel respingimento di “757 persone in tutto”, bloccate in mare dalle motovedette italiane e ‘riconsegnate’ alla Libia negli ultimi mesi, ma “nelle 15-20 mila persone” provenienti dal Corno d’Africa, e che probabilmente avrebbero diritto alla protezione internazionale, che si trovano oggi in territorio libico senza che l’Ue abbia ancora preso alcuna iniziativa, “nonostante le richieste dell’Italia”.

Il governo italiano, insomma, chiede che l’Ue intervenga ‘a monte’, in cooperazione con l’Alto commissariato Onu ai rifugiati, stabilendo insieme alle autorità di Tripoli uno ‘spazio di protezione’ in Libia per i perseguitati e i richiedenti asilo. L’iniziativa consentirebbe di applicare direttamente in territorio libico le procedure per identificare le persone che meritano la tutela internazionale, per poi reinsediarle nei vari Stati membri (sulla base del programma volontario proposto oggi da Barrot al Consiglio), senza che debbano essere costrette a mettersi nelle mani dei trafficanti e ad entrare nel flusso dei migranti clandestini.

Nitto Palma ha fatto capire che se verrà adottata questa iniziativa non ci sarà più bisogno dei respingimenti, e che anzi queste operazioni sarebbero già, sostanzialmente, cessate. “Qualche giorno fa – ha osservato rispondendo a chi gli chiedeva se i respingimenti stiano continuando – c’è stato uno sbarco in Sicilia orientale, ciò che la dice lunga su come sia possibile un cambio delle rotte, e sul fatto che questo tipo di politica (i respingimenti, ndr) non possa avere effetti duraturi”. Il problema, ha aggiunto il sottosegretario “non può essere risolto con operazioni di contenimento sulle frontiere, né marine né terrestri”.

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