– Attirata in Italia con il miraggio di un lavoro onesto: rinchiusa e trasformata in schiava del sesso. Salvata dagli uomini della Polizia di Stato: gli agenti del commissariato di Gallarate hanno smantellato tutta la rete.
La ragazza è stata liberata dalla polizia dopo una segnalazione della sorella. Oggi arrivano anche i provvedimenti giudiziari ai 3 “carcerieri”, per induzione alla schiavitù. Sono un catanese di Gallarate, 40enne, proprietario di un negozio in città (detenuto in carcere),
la sua compagna di 35 anni, rumena, ex prostituta (detenuta ai domiciliari perché ha una bimba neonata), e una donna di 42 anni rumena (sottoposta a obbligo di firma), che teneva i conti e aiutava a controllare.I reati contestati sono molto pesanti: riduzione in schiavitù finalizzata alla prostituzione, nonché di esercizio di “casa” di prostituzione, reclutamento, induzione e sfruttamento della prostituzione (aggravato dalle minacce e dalla pluralità delle vittime), in danno in realtà di ben due donne di nazionalità rumena: c’era anche una trentanovenne, oltre alla diciottenne. L’appartamento era in via Oslavia, ufficialmente adibito a studio professionale e a procurarselo, con regolare contratto di affitto a proprio nome, era stato il quarantenne. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti a procurare i clienti erano l’italiano oppure le due complici anche grazie ad annunci pubblicati su siti Internet e su un quotidiano. A confermarlo sono stati alcuni dei clienti stessi, ma soprattutto il ritrovamento delle schede telefoniche corrispondenti ai numeri indicati negli annunci e utilizzati per fissare gli appuntamenti. Le donne definivano la prestazione e il prezzo, poi accompagnavano il cliente in un altro locale dove incontrava la ragazza e poi consumava il rapporto (quasi sempre massaggi intimi o rapporti incompleti, per prezzi oscillanti tra i 100 e i 200 euro). L’aspetto ancora più inquietante è che le due donne erano costrette a prostituirsi, ma la 18enne era stata proprio schiavizzata: una realtà scoperta il 18 gennaio quando da Sulmona (L’Aquila) la sorella della ragazzina romena segnalava che la giovane era vittima di schiavisti del sesso. La giovane si era lasciata irretire da una compaesana, in Romania, che l’aveva convinta a venire in Italia dietro la promessa di un lavoro. Durante il viaggio, però, le aveva detto una prima mezza verità: si trattava di fare massaggi agli uomini; inoltre avrebbe dovuto accettare senza fiatare gli ordini ricevuti, perché i soldi del trasporto, mille euro, le erano stati pagati dai suoi nuovi “amici. Le veniva quindi chiesto di consegnare il passaporto e una volta giunti a Gallarate veniva costretta a non allontanarsi mai dalla casa da sola, guardata a vista, senza sosta e senza possibilità di contattare i familiari, se non alla presenza dei suoi sfruttatori.Le due romene le avevano impartito una specie di ”addestramento” iniziale: le veniva data della lingerie, parrucche e trucchi. Tra le varie minacce subite, l’italiano le aveva mostrato una pistola che aveva in casa, completa di cartucce, e una volta, per spaventarla ancora di più, aveva anche sparato in aria nel giardino. L’arma era in realtà a salve, ma solo dopo quattro mesi la giovane era riuscita a contattare telefonicamente la sorella, approfittando di una distrazione dei suoi aguzzini, dando così l’allarme.Tra gli oggetti sequestrati durante una perquisizione anche una evidente “contabilità”, con tanto di nomi e numeri telefonici di alcuni clienti, associati al prezzo da loro pagato. Tra i clienti, di varia estrazione sociale, la maggior parte è risultata provenire dalla provincia di Varese, tranne alcuni professionisti di passaggio per motivi di lavoro. La casa era davvero molto nota, la frequentavano persino dei giovani uomini sposati.