In oratorio si parte dal play e dal pivot

«Buonasera, sono Carlo Meazza: sono appena uscito dal palazzetto e sto male. Posso mandarvi dieci righe su quello che ho visto?» L’editoriale del noto fotografo varesino Carlo Meazza

Con grande amarezza ma anche con delusione e rabbia ho visto la partita di domenica come tanti, forse come tutti.
La disarmante realtà è davanti agli occhi da tanto tempo, salvo qualche rara eccezione.
Mi viene solo una semplice osservazione da fare: i giocatori giocano come sanno ma anche come li fanno giocare.
Dato per scontato che non ci sono dei lavativi, con loro non ci si può arrabbiare più di tanto. L’amico

giornalista Pigionatti ricorda spesso che quando da giovani si facevano le squadre in palestra o all’oratorio, dopo il pari o dispari la preoccupazione maggiore dei due incaricati era quella di scegliere prima di tutto il play e il pivot, poi gli altri. Forse non è più così, peccato. È una regola così semplice…
Alcune domande: quanto dipende dall’allenatore e dalla società di appartenenza il carattere di una squadra? Quanto nelle società si lavora, oltre che sulla tecnica, ad esempio sulla passione e la dedizione al di là della professionalità?
Ci sarebbe poi l’importante argomento sui settori giovanili e il mini basket dove, da quello che so e spero di sbagliarmi, sembra che la preoccupazione maggiore sia quella di individuare chi può diventare un campione e quindi una opportunità materiale, dimenticando il valore dello stare assieme, del diventare amici, al di fuori della facile retorica che affligge lo sport.
Per tornare all’ultima partita e a questa stagione: non è forse ora che altri, oltre ai giocatori, si facciano degli esami di coscienza alla luce del sole con obiettività ed umiltà?
Il pubblico di Varese è vero che si merita di più di quello cui è costretto quest’anno ed è normale che sia stanco.