Non solo Cartiera Mayer di Cairate, la provincia di Varese è un vero e proprio cimitero industriale a cielo aperto. La tragedia che pochi giorni fa ha portato via il giovanissimo , all’interno del complesso industriale abbandonato dell’ex Cartiera Mayer in fondo alla valle del fiume Olona, ha riacceso i riflettori sulle tante aree dismesse in cerca di destinazione. Il censimento fatto da Regione Lombardia, datato 2010, conta in tutto più di ottanta “ruderi” industriali in attesa di riqualificazione. Ma è un calcolo per difetto, visto che praticamente ognuno dei 139 Comuni della provincia di Varese ha i suoi angoli da riconvertire. Segni di un passato manifatturiero ad alta intensità di manodopera, che ha lasciato il passo ad un’economia più basata sui servizi e sull’artigianato.
Tipologie di produzione ormai scomparse dal nostro territorio, come la ceramica, oppure decimate dalla globalizzazione, come fonderie e cotonifici. O ancora assi di produzione diffusa, come quello lungo il fiume Olona, non più attuali, nell’epoca delle zone industriali. Di queste aree si finisce per parlare soprattutto quando entrano nel “radar” della cronaca nera, come nel caso della tragedia alla Cartiera di Cairate, oppure qualche compagnia di giovani un po’ vivaci decide di prendere di mira qualche fabbrica abbandonata come sede di “rave party”, o ancora quando le forze dell’ordine procedono allo sgombero di occupanti abusivi. Oppure per i problemi legati all’ambiente e all’igiene.
La mappa delle aree dimesse tocca tutto il territorio del Varesotto, da nord a sud e da est a ovest. Tocca le grandi città e i piccoli centri. Ci sono aree di dimensioni enormi, come la Mayer di Cairate che copre più di 400mila metri quadrati, oppure l’ex Cantoni di Saronno, 116mila metri quadrati. Ci sono nomi storici dell’industria varesina, come l’ex Aermacchi di via Sanvito a Varese, l’ex Richard Ginori di Laveno Mombello, l’ex polveriera Montedison a Taino, l’ex Mv Agusta a Verghera di Samarate o l’ex-Sir di Nino Rovelli a Solbiate Olona.
Spesso sono i costi elevati di bonifica dei terreni, contaminati in epoche in cui la regolamentazione in materia ambientale era molto meno attenta rispetto ad oggi, a costituire un freno alla riqualificazione. Ma i pericoli riguardano anche la sicurezza, visto che inibire gli accessi talvolta è uno sforzo quasi inutile.
Pensiamo all’ex centrale elettrica dell’Enel di Castellanza, 90mila metri quadrati, sgomberata l’ultima volta qualche mese fa. Sempre a Castellanza, per evitare il ripetersi delle occupazioni abusive, qualche anno fa è stato in parte demolito il complesso dell’ex Mostra internazionale del Tessile di viale Borri, simbolo del boom economico degli anni ’50.
Eppure il destino delle aree dismesse in molti casi ha prodotto riqualificazioni di cui andare orgogliosi. Pensiamo all’università Liuc di Castellanza, edificata a fine anni ’80 sulle ceneri dell’ex cotonificio Cantoni, oppure ad uno dei “gioielli” scolastici del Varesotto, l’Ipc Falcone di Gallarate, realizzato sull’area dell’ex manifattura Cantoni. E ancora, il Museo del Tessile di Busto Arsizio è il frutto della ristrutturazione di una parte del complesso dell’ex Cotonificio Bustese, oppure il museo di Volandia sorto al posto delle ex Officine Caproni di Vizzola Ticino. In altri casi, gli ex capannoni demoliti hanno lasciato spazio a grandi interventi residenziali e commerciali. Non sempre andati a buon fine, come dimostrano l’ex Fornace di Tradate o “Il Fare” di Gallarate, sorto sull’area ex Borgomaneri. Si tratta sempre di operazioni complesse da portare a termine.
Il caso dell’ex Sottrici di Vedano Olona, la cui riqualificazione porterebbe un controverso maxi-polo commerciale (stesso futuro delineato per l’ex Siome di Malnate), è sotto gli occhi di tutti. Ma non è l’unica area dismessa a muoversi e intravedere un futuro. Vedi l’ex Malerba a Varese, recentemente demolita: dal piano che prevede la costruzione di un supermercato Esselunga dipende anche la soluzione dell’annoso nodo viabilistico dell’ingresso in città.