“Ma quanta vita c’è tra i malati terminali”, ci si chiede, ed allora ecco la mia ultima e non unica personalissima esperienza. Ho ancora nitidamente in mente l’ultima frase pronunciata da un vecchio amico di scuola, incontrato nel 2010 in maniera del tutto casuale proprio negli anni più difficili della sua vita, conclusi proprio recentemente in santa pace all’hospice dell’ospedale di Circolo di Varese. «Caro Enzo – mi disse appunto qualche giorno prima di lasciare questa valle di lacrime –
io qui sto bene e magari se mi trasferivano prima…»: infatti, era subentrata in lui una timida illusione di superare anche quest’ennesima dura prova, in quanto il dolore che da tempo lo affliggeva era stato forzatamente messo a tacere, e quel nemico maligno che, come quei vulcani dormienti, si era inaspettatamente risvegliato con tutte le conseguenze che possiamo immaginare, in questi 15 giorni, tanto è durata la sua ultima esperienza terrena in questo conclusivo e “privilegiato” posto, sembrava domato. Avevo già avuto modo di conoscere in altra circostanza questo reparto molto ma molto speciale, per recare l’ultimo saluto ad un collega di lavoro, che sempre lì era passato a miglior vita, almeno lo spero: ma ritornarci sapendo che tra quelle mura il tempo è tiranno resta pur sempre un’esperienza che ti segue costantemente come se fosse la tua ombra. Con Lorenzo, questo è il suo nome, abbiamo ripercorso i bei tempi di un periodo a cavallo tra gli anni ’50 e ’60. Tra le varie cure palliative che gli infermieri con grande umanità, una dote non alla portata di tutti, hanno somministrato in modo professionale al degente, ci può stare benissimo anche la costante e discreta presenza in camera di parenti o amici che nei momenti di difficoltà non si girano dall’altra parte, ma rispondono presente come qualsiasi buon volontario dovrebbe fare. Caro amico che prematuramente ci hai lasciato, dedico a te queste mie riflessioni che mi auguro da lassù tu possa condividere. Io sapevo, mentre varcavo quella porta con tutta la cautela del caso, che a breve, dopo i titoli di coda, sarebbe apparsa la parola fine su una vicenda la cui trama era stata scritta già da tempo, e se il terribile male ha poi avuto il sopravvento, tu mi hai dignitosamente dimostrato come si può rendere la “vita” difficile anche a quel famelico mostro che è il tumore. Questa nuova e triste esperienza ha rafforzato in me la convinzione che la nostra società, pur con tutte le sue brutture sempre all’ordine del giorno, è ancora capace di offrire ai malati terminali un’oasi protetta dove ciascuno di noi, nessuno escluso, un giorno o l’altro può incamminarsi serenamente per quella strada senza ritorno. Ciao Lorenzo e riposa in pace!