«Invece di false illusioni aiutiamoli al loro Paese»

L’analisi di Roberto Garavello, gestore del centro di via dei Mille di Busto Arsizio

– «Ragazzi qui mediamente da 30 mesi. Inserirli non è facile, sarebbe più sensato aiutarli a costruirsi un futuro lavorativo a casa loro». Parola di , responsabile della KB srl che gestisce il centro di via dei Mille, che ragiona sul modello di accoglienza nei giorni delle polemiche sulle “performance” in città del nigeriano Alexander, ospite dal 27 aprile.

Lo escluderei. È vero che ci sono una decina di ragazzi nel centro di Busto che non vogliono sentire ragioni e non accettano il fatto che non a tutti possa essere data la carta d’identità, ma questo ragazzo no: le nostre psicologhe non hanno mai individuato nulla di strano nel suo comportamento. Come stabilito dalla prefettura, valuteremo dopo il colloquio con lo psichiatra.

Mediamente ormai hanno raggiunto i 30 mesi di presenza nel centro. Sono ragazzi che hanno in media sui 20-22 anni: se a noi appare uno sforzo enorme, per le insegnanti e il Cpia, riuscire a fargli fare dei corsi di italiano che mediamente li occupano due mezze giornate alla settimana, per loro è come fare niente. Poi c’è tutta questa grande diatriba a livello nazionale, fino a quando ospitarli dopo il no del Tribunale ordinario, se l’accoglienza deve continuare fino al secondo grado di giudizio.


Non voglio insegnare al ministro a lavorare, ma da operatore devo dire che stiamo rischiando di tenerli qui due-tre-quattro anni per poi dire loro che vanno rimpatriati. Purtroppo c’è un’altissima percentuale di ragazzi analfabeti, e non è facile inserirli, non uso nemmeno il termine integrare che forse è persino eccessivo, nel contesto italiano ed europeo quando devi partire dall’alfabetizzazione o dal cercare di far capire loro che se vanno in un ufficio pubblico o in chiesa non possono andarci con le infradito. Infatti dobbiamo procurarci 1200 paia di infradito al mese, perché devono pregare cinque volte al giorno ed essere liberi di lavarsi i piedi cinque volte al giorno.


Il loro stile di vita non è incompatibile con il nostro, ma è difficile inserirli. Mi chiedo se non avrebbe più senso, una volta che si va in mare a salvarli, sacrosanto, e li si porta in Italia, curarli e rimetterli in sesto dal punto di vista fisico ed emotivo, dopodiché aiutarli, dare loro dei denari per tornare al loro Paese e realizzare il sogno di poter lavorare, in una realtà in cui si trovano bene. Oltretutto in Italia, da Bolzano a Trapani, siamo ancora molto “locali”, abbiamo i sindaci che si incatenano ai cancelli. Ma è una battaglia tra poveri.

Secondo me il problema è più nella parte politica che non nei cittadini. Vuole un esempio? Da due anni i ragazzi del liceo Crespi frequentano il centro, organizzano corsi, fanno feste. Un altro? Intorno a via dei Mille non abbiamo vicini che si lamentano, magari non sono contenti ma non abbiamo manifestazioni di ostracismo. È una posizione politica quella di dire “non li voglio”. Ma in altre realtà i risultati addirittura dei senegalesi, di religione islamica, che aiutano il Comune ad allestire il Presepe. Segnale più intelligente da parte dei nostri ragazzi di quelli che a volte danno i politici. Che poi questo sia un problema e che lo Stato italiano stia spendendo una montagna di soldi per progetti che non hanno soluzione, è vero, non fa una grinza. Ma è tutto un altro paio di maniche.