«Articolo 18, l’Italia deve allinearsi agli altri Paesi europei. È un problema culturale da affrontare».
La pensa così Ezio Colombo, patron della Ficep di Gazzada Schianno, azienda di meccanica strumentale che ha 320 dipendenti e che lavora in tutto il mondo, una punta di diamante dell’industria varesina che eccelle nell’export.
Nel momento in cui il premier Matteo Renzi ha strappato il sì della direzione del suo partito alla riforma del lavoro che prevede il superamento del “totem” dello Statuto dei Lavoratori, che prevede il reintegro in caso di licenziamenti senza giusta causa, il dibattito sull’articolo 18 torna a fare capolino sotto i capannoni delle nostre aziende.
«Restii alle direttive»
«Faccio l’esempio della Spagna, dove era stato introdotto un limite quantitativo dell’1% all’anno di dipendenti che potevano essere lasciati a casa – spiega dal suo ufficio di Gazzada Schianno – Per un’impresa come la Ficep (che su 320 addetti ha un numero di collaboratori a progetto che si contano sulle dita di una mano, ndr), vorrebbe dire appena tre persone».
«Ma sul piano psicologico anche solo una misura come questa avrebbe un forte impatto. Perché oggi chi ha un contratto a tempo indeterminato si sente coperto ed è restio a seguire le direttive aziendali. Da questo punto di vista è una riforma che ha il suo significato».
Insomma, la “rivoluzione” di Matteo Renzi potrebbe andare a incidere sulla vita quotidiana delle grandi imprese. «Chiariamoci, la modifica dell’articolo 18 non farà aumentare il numero di persone che viene assunto – premette l’imprenditore varesino – ma nelle aziende di una certa dimensione, la normativa esistente condiziona, eccome, la produttività quotidiana».
«Guardo al mio caso: su 320 dipendenti ho 65 trasfertisti, che rappresentano il 20% della nostra forza lavoro. Ebbene, ogni volta che devono prendere e partire per andare all’estero a fare gli interessi dell’azienda si apre una trattativa, perché ciascun dipendente ha le sue esigenze. E l’azienda non ha alcuna possibilità di intervenire, tanto che in passato ci è anche capitato di dover chiamare tecnici dall’estero per partecipare a manifestazioni fieristiche a Milano».
Questione culturale
Potrebbero sembrare situazioni secondarie, in realtà fanno la differenza in un mercato così competitivo come quello globalizzato.
«In Germania e in Francia un tecnico non può rifiutarsi di eseguire una direttiva. E ancora, la flessibilità di orario, che incide sulla produttività e sulla competitività delle aziende. È un problema culturale, che va affrontato».
E qui per Ezio Colombo non si tratta di rendere meno tutelato il lavoro o di introdurre condizioni “cinesi”: «Dobbiamo solo allinearci al resto dell’Europa con cui competiamo quotidianamente, metterci allo stesso livello una volta per tutte visto che facciamo parte di una Unione. Anzi, sul lavoro dovrebbe esserci una direttiva europea per regolamentare queste questioni, così tutti sarebbero nelle stesse condizioni». Quindi, par di capire che il caso dell’articolo 18 val bene la battaglia di Renzi: «Non ho mai fatto molto conto che qualche Governo avrebbe potuto affrontare l’argomento. Se ci riesce è un vantaggio per le imprese» ammette il patron della Ficep.
«È uno dei tanti campi in cui siamo penalizzati rispetto ai tedeschi – fa notare l’imprenditore – Chi esporta, che poi sono le uniche aziende che oggi riescono a sopravvivere, sa quanti sono i fattori che ci penalizzano rispetto ai nostri competitor in giro per il mondo. Penso ad esempio agli interessi sul credito e ai costi delle assicurazioni. È giusto che queste differenze vengano colmate».n
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