«Non me ne sono andato sbattendo la porta perché non avevo nulla o non riuscivo a trovare nulla: per me New York è stata solo la curiosità di ritornare negli Stati Uniti e la voglia di giocarmi una possibilità in più».
risponde dall’Italia, dove è tornato per un periodo di vacanza in corrispondenza con le feste natalizie. Un caso: da qualche mese l’attualità della sua vita di giovane trentenne prende infatti forma al ritmo della Grande Mela,
dove frequenta un dottorato in letterature comparate alla City University of New York.
La precisazione iniziale tiene Alberto lontano dal mito che sembra accomunare la maggior parte degli emigrati under 40: parto perché non ho alternative. La storia che racconta è profondamente diversa: «Sono di Solbiate Arno, ho fatto il liceo scientifico a Gallarate, studiando due lingue straniere, e poi mi sono laureato in Lettere moderne alla Statale di Milano. Conclusa l’università ho preso l’abilitazione all’insegnamento e poi ho iniziato a lavorare in una scuola privata».
Arriva il primo step verso un cambiamento di rotta: «A quel punto ho preso parte a un programma sponsorizzato dal governo americano. Si chiama Fulbright e permette di fare l’assistentato di lingua per un anno in un college americano: io sono stato in Pennsylvania e mi hanno trattato come un re, con biglietti aerei pagati e stipendi alti». Tornato in Italia, il giovane solbiatese prende parte al concorso pubblico che permette di accedere alle cattedre e riesce a diventare insegnante di ruolo, ma il buon sapore dell’esperienza americana gli rimane sul palato. Spingendolo a un passo decisivo: «Ho mandato una lunga application a otto università americane e alla fine sono stato preso per frequentare il dottorato alla Cuny. Studierò il primo anno e poi inizierò a insegnare: in Italia, indipendentemente dalla questione economica, il dottorato significa solo ricerca; negli Usa, invece, la pratica è ritenuta fondamentale. Ed è proprio per questa ragione che ho deciso di fare questo salto».
Alberto si ritiene fortunato, per due ragioni: «Ho mantenuto il mio posto di lavoro in Italia, quello pubblico. Per lo Stato sono in aspettativa, non percepisco lo stipendio ma so anche che avrò la possibilità di tornare indietro». La seconda: «Abito in una delle capitali del mondo, in uno degli ambienti più “mescolati” della terra, soprattutto culturalmente. È qualcosa che fa la differenza e si unisce alla chance professionale senza pari che sto cercando di cogliere».