C’è un artista del gusto che sa sposare la cucina italiana alla tradizione giapponese. Stiamo parlando di Silvio Salmoiraghi: nel suo Acquerello di Fagnano Olona interpreta i piatti come espressione dell’eleganza e punta a lasciare il segno sul palato dei suoi clienti, affidandosi innanzitutto alla pulizia dei sapori.
Lo chef, che è stato allievo del mito Gualtiero Marchesi, è uno dei massimi interpreti nostrani del Kaiseki, il ramo della cucina giapponese in grado di armonizzare, nello stesso piatto, gusti, motivi, e colori diversi. Il Kaiseki non mancherà nel menu di Pasqua proposto da Salmoiraghi all’Acquarello con ricette ispirate da ottima materia prima e dalla tradizione italiana, reinterpretata sapientemente da un cuoco sempre pronto a sorprendere.
La parola, come di consueto, passa ora allo chef.
Kaiseki è una filosofia di cucina che mi piace molto e che ho imparato a sviluppare in Giappone nel 2000. Consiste nell’avere tante combinazioni nello stesso piatto, dove fondere caldo e freddo, dolce e salato.
Può sembrare un gioco divertente – e infatti lo è – ma è soprattutto una tecnica per armonizzare i sapori e dare la possibilità a chi si siede al tavolo di avere davanti a sé un piatto completo, in cui ogni forchettata è diversa dall’altra.
È esemplare, in questo senso, il carpione di mare che servo con gelatina di aceto di mele, succo d’arancia, miele e gamberi di Sicilia, marinati in olio e sale. Morbido e croccante, caldo e freddo non mancano, ma neppure il tocco piccante dato dal succo di erba cipollina e quello più dolce che arriva dal succo di pomodoro.
In Giappone, il Kaiseki è estremizzato perché tutti gli ingredienti sono divisi. Io lo faccio all’italiana tentando innanzitutto di stimolare la mente di chi viene a trovarmi all’Acquerello: è il cervello che ti fa venire fame e, mentre aspetti fra una portata e l’altra, basta farsi sedurre dal pensiero delle varie consistenze che troverai nel prossimo piatto. Anche il mio menu di Pasqua non sfugge al Kaiseki. Ma andiamo con ordine e partiamo dall’agnello,
che è il piatto forte di questo periodo. Quest’anno, ho pensato a qualcosa di diverso: non al solito cucinato arrosto, ma a una terrina d’agnello che si rifà a quello cacio e uova della tradizione abruzzese. Andrò a realizzare un mambré, con l’agnello servito a cubi che verranno saltati, acidati, resi piccanti al punto giusto ma sempre secondo la filosofia Kaiseki che offre tutte le consistenze possibili e i vari sapori nello stesso piatto.
Ci sarà spazio anche per il maiale cotto allo spiedo: ho intenzione di servire solo la carne dell’animale, senza pelle e senza grasso. Insomma, offrirò un trancio dal gusto forte e, del resto, quando si ha materia prima eccellente basta una semplice fetta di carne per diventare indimenticabile.
Nel menu pasquale dell’Acquarello c’è spazio anche per il pesce e in particolare per la canocchia, crostaceo che si fatica ad avere fresco. Io propongo i ravioli di cannocchie che hanno all’interno salsa di pomodoro. In questo periodo non possono mancare gli asparagi e io adesso mi sento di promuovere quelli selvatici del Bosco Palli, che si trovano sulle colline del Monferrato casalese. Sono molto amari ed è un po’ come mangiare la catalogna.
Prima di chiudere il pasto con i dolci, ci sarà un piatto di mezzo, un pre dessert che è un uovo al pecorino: utilizzo solo il bianco dell’uovo che andrà cotto al vapore e la meringa ottenuta avrà una percentuale bassa di zucchero per non contrastare troppo con la sapidità del pecorino di Fossa.
Chiuderemo con una degustazione di dolci proposti sul classico carrello che si usava una volta in tutti i ristoranti e che adesso si trova ancora in qualche trattoria e pizzeria. Accanto alla pastiera, ci saranno la caprese di cioccolato, il babà al rum con frutta fresca e quindi dei cioccolatini.
Quali vini abbinare? Rispondo affidandomi alle grandi bandiere italiane e la bollicine di Franciacorta saranno il mio aperitivo. Per l’arrosto cacio e uova scelgo un bianco: magari un Sauvignon, in grado di pulire la bocca. Per il maialino ci vuole o un Pinot Nero di nicchia, magari dell’Alto Adige, o un rosso importante: Nebbiolo o Barbera, visto che il Barolo va bevuto da solo perché è così grande da non aver bisogno di essere accompagnato. Per il dolce si può scegliere fra un Passito e il classico Moscato d’Asti.
A Sant’Angelo, invece, il menu cambierà completamente con una rivisitazione di grandi classici. A partire dall’insalata russa che è stata trasformata dalla fantasia degli italiani e fa sempre festa sulle nostre tavole: la propongo non con la maionese ma con una crema d’uovo e ovviamente con piselli freschissimi. Poi ci sarà una torta verde che è un piatto tipico alla ligure e in cui impiegherò delle mammole gustose. Infine, ecco i Vincisgrassi: un piatto unico della tradizione marchigiana in cui nella lasagna ci sono frattaglie, creste di gallo, animelle.
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