Ivan Basso è l’unico ciclista che ha vissuto tre volte

Benvoluto dai grandi (tranne uno), amato dai bimbi e dai francesi. Salvato dalla famiglia. Il lago e le sue strade meglio del Mortirolo

Ivan Basso è stato l’unico ciclista che ha vissuto tre volte: prima della squalifica, dopo la squalifica e dopo il tumore. Ivan è stato l’unico ciclista che si è fatto benvolere da tutti i grandi che ha incrociato sulla strada, da Pantani ad Armstrong, da Contador a Nibali, tutti tranne Simoni, ma soltanto perché Simoni non è mai andato d’accordo con nessuno.
Ivan è stato l’unico ciclista squalificato non perché trovato positivo al doping. C’era il nome del suo cane su una sacca di sangue arricchito,

e tra quelle sacche c’era anche il sangue di un grande tennista e di grandi calciatori spagnoli. Ma ha pagato rinunciando a due anni della sua carriera e della sua vita, chiedendo scusa, solo lui.
Ivan è stato l’unico ciclista che si è aggrappato alla moglie e ai figli per evitare di fare una brutta fine. A differenza di tanti suoi colleghi ai quali se strappavi la bicicletta morivano o si lasciavano morire, ce l’ha fatta grazie alla forza e al coraggio di Micaela, ammettendolo e andandone orgoglioso.
Ivan è stato l’unico ciclista ad amare ciò che tutti gli altri ciclisti odiano, e cioè il calcio, in particolare il Varese e Beppe Sannino.
Ivan è stato l’unico ciclista a fare del nostro giornale e in particolare di Francesco Caielli il suo migliore amico, la sua fede, il suo cuore.
Ivan è stato l’unico ciclista ad ammettere di avere bisogno accanto a lui anche di spalle e uomini forti, di squadre importanti e guadagni proporzionati al suo talento e al suo personaggio, senza vergogna ma con orgoglio.
Ivan è stato l’unico ciclista a capire che la Gazzetta era e dovrebbe sempre essere l’anima del ciclismo, quindi l’ha messa davanti a tutti e tutto, sapendo di parlare, più che ad un giornale, a quelle pagine che continuano a colorarsi di rosa. E a quella Rosa che continua a sbocciare ogni giorno.
Ivan è stato l’unico ciclista a farsi amare come un ciclista che in salita si alza sui pedali, anche senza essersi mai alzato sui pedali.
Ivan è stato l’unico ciclista a preferire l’allenamento più delle corse, i giri del lago di Varese sotto la neve o in mezzo a un muro di nebbia, le scalate al Campo dei Fiori e al Cuvignone più del Mortirolo, più dello Zoncolan e quasi come lo Stelvio. Perché Ivan ha sempre spinto sui pedali le sue radici, le sue origini e le sue montagne.
Ivan è stato l’unico ciclista a volere prima il Tour del Giro d’Italia, perché in fondo il suo stile e il suo charme sono più francesi che italiani, nonostante abbia vinto due Giri d’Italia e nessun Tour.
Ivan è stato l’unico ciclista a parlare bene anche con la faccia stravolta dalla fatica, anche mentre tremava e cadeva, non da corridore ma quasi da commentatore del ciclismo e di se stesso, come se avesse sempre davanti un libro d’italiano, sempre con i toni, i modi, le parole e i tempi giusti.
Ivan è stato l’unico ciclista ad avere come primi tifosi i bambini, con quell’eterno viso d’angelo, e quindi da bambino.
Ivan è stato l’unico ciclista attento alle apparenze e al giudizio (o al pregiudizio) degli altri, perché convinto che pure le apparenze e il giudizio degli altri possano fare la differenza tra vittoria e sconfitta, nello sport ma soprattutto nella vita.
Ivan è stato l’unico ciclista a proporre anche sui pedali un aplomb, un bon ton e un’eleganza inconfondibili sprigionati con naturalezza anche giù dalla bici.
Ivan è stato l’unico ciclista, ed è unico, anche per le sue debolezze, e non solo in discesa.