Cos’ha fatto Vespa di strano e inconsueto, grave e vergognoso intervistando i Casamonica a “Porta a porta”? Nulla. Proprio nulla. Ha fatto il suo mestiere. Il mestiere del giornalista. C’erano una vicenda da approfondire, protagonisti da ascoltare, retroscena di cui dar conto.
E lui s’è attenuto alla regola, peraltro tradizionale nelle trasmissioni televisive che firma, perché Vespa è un signor professionista: ricercare, rispondere agl’interrogativi, capire. Lasciando perdere il conformismo, dissociandosi dal pensiero comune (a volte unico),
non temendo di partecipare alla scoperta della verità.
Ecco, la verità. Non è mai conosciuta per intero, compiutamente, in modo definitivo. Bisogna aver la pazienza d’inseguirla, comporre sino all’infinito il mosaico che la forma, comprenderne ogni sfumatura. La verità è spesso un mistero, offre sorprese, denunzia l’imprevedibile. Va maneggiata con attenzione, rispetto, umiltà. Non sempre ci si riesce, ma tentare è il minimo in un contesto civile che si concede il massimo della libertà. Anche e soprattutto mediaticamente.
Perciò non è Vespa a rappresentare lo scandalo. Lo scandalo è rappresentato da chi lo processa e condanna, usando nella circostanza e verso di lui un peso e una misura non adoperati in passato con molti suoi colleghi. Quante volte il servizio pubblico televisivo ha dedicato spazio a personaggi di moralità dubbia, a criminali rei confessi, a ladri dei soldi della comunità a tangentisti, mafiosi, assassini e via elencando? Tante volte. Senza sollevare ondate d’indignazione politica e sociale, etica e popolare. Basti un esempio: quando Biagi concesse il microfono e le telecamere a Buscetta, nessuno se ne adontò. E, anzi, piovvero giusti elogi sul cronista che s’era dimostrato più bravo degli altri.
Vespa è spesso più bravo degli altri. Come lo era Biagi.
Sarà pure inopportuno (è di sicuro inopportuno) il suo presentar libri freschi di stampa con al fianco il potente di turno, che di solito nell’ultimo ventennio ha assunto le ridenti sembianze di Berlusconi; ma nel coltivare voglia, passione ed entusiasmo attorno alle notizie non c’è chi lo batta, pur avendo egli superato i settant’anni e pur essendo incalzato dalle orde del giovanilismo affamato di scoop.
All’Aquila, subito dopo il terremoto, andò di persona a girare tra le macerie, a raccogliere testimonianze di sofferenza e dolore, a interpretare con la modestia dell’osservatore puntiglioso e partecipe una spaventosa tragedia. Avrebbe potuto star comodo nella poltrona di comando romana e spedire in Abruzzo un drappello di volonterosi inviati. Rifiutò il privilegio ed ebbe il coraggio (ci vuole coraggio, a certe età) di rimettersi per l’ennesima volta in discussione.
Chapeau a uno così. Aprendo gli studi della Rai ai Casamonica ha impartito (ma sì, esageriamo. O non esageriamo affatto?) una lezione di democrazia. La democrazia vuole che a ciascuno sia permesso d’esprimersi, così da consentire a tutti (1) di poterlo giudicare, se è proprio il caso di giudicarlo. E da consentire (2) a lui d’affermare: beh, però, non mi è stato impedito di dir la mia. A volte basta un segnale piccolo per grandi recuperi umani, e la speranza resta sempre accesa. Il televisore, invece, può essere spento, nel caso di basso gradimento. Oppure è sufficiente cambiare canale.