La crisi mette all’angolo le aziende

Gli industriali a confronto dopo «anni di involuzione sociale» si mettono in gioco. E ammettono: «Anche per noi non c’è più il posto fisso. Serve la forza interiore»

– «I veri precari? Oggi sono gli imprenditori». La lezione degli industriali che ieri si sono incontrati alla Liuc, per il ciclo “Conversazioni in Biblioteca”, organizzato dall’unità di studi sull’Etica guidata dal professor .
Alla suggestione su come innovare per ripartire dopo «anni di involuzione sociale» dovuti alla crisi, gli imprenditori si mettono in gioco, e ammettono che loro per primi devono accettare la sfida di una realtà in cui nemmeno per loro esiste più quella sorta di “posto fisso”, ovvero una stabilità garantita nel lungo periodo, di cui hanno potuto beneficiare fino al 2008.

«Oggi il precario numero uno è l’imprenditore» ammette, imprenditore veneto nel settore della grande distribuzione, alla guida di Migross ed Eurospin (realtà da mille punti vendita sul territorio nazionale, per dodicimila dipendenti).
«Solo la sua forza interiore e la voglia di costruire qualcosa gli danno sicurezza e certezze. Ma nel mercato di oggi c’è bisogno di imprese, e di imprenditori, che abbiano leadership e cultura d’impresa. Nella scuola di oggi si dovrebbe insegnare a fare impresa, perché imprenditori si può anche diventare».
Concorda con questa analisi , presidente della Liuc e imprenditore: «Arrivavamo da un lungo periodo in cui la precarietà dell’imprenditore si è assopita, in cui una normale continuità dell’attività forse ci aveva disabituato al cambiamento. Ora invece siamo messi di fronte alla necessità di porci delle domande su cosa fare per mantenere la continuità delle proprie attività».

Una condizione di «precarietà» che impone una revisione del proprio ruolo: «L’era del paternalismo e dell’impresa come famiglia allargata non c’è più – sostiene Michele Graglia – l’imprenditore non è più quello che risolve i problemi di tutti e non ha più una garanzia di continuità, ma deve rimodulare la propria attività pensando al mondo che è cambiato, magari anche rinunciando all’indipendenza e all’unicità del proprio ruolo imprenditoriale. È un ribaltamento provocato dalla globalizzazione virulenta che negli ultimi anni ha stravolto il nostro mondo».

Un cambiamento che sta lasciando le stesse macerie di una guerra, secondo il numero uno dell’università Cattaneo: «Dobbiamo ripartire dai valori, dalla dignità della persona. Se ricominciamo con gli stessi principi di prima della crisi rischiamo di ricaderci presto».
In questo senso anche la battaglia sull’articolo 18 è emblematica: «Pensare che possa risolvere i problemi è una bufala mediatica e politica – ammette Graglia – Però occorre prendere coscienza, da un lato, che gli imprenditori devono fare un saltino rispetto ad un atteggiamento paternalistico nei confronti dei collaboratori, per mettere tutti in condizione di contribuire ad affrontare i problemi insieme, dall’altro non può nemmeno essere un totem da difendere ad ogni costo».

Insomma, occorre fare tutti un passo in avanti, per adeguarsi ad un contesto che è profondamente mutato.
«Uscire dalla crisi non può essere una ripresa ma dev’essere uno sviluppo – ammonisce , “professor of International economics” all’università Cattolica di Milano – non possiamo illuderci che le cose tornino come prima, facendo come gli struzzi che tirano fuori la testa dalla sabbia dopo che è passata la tempesta. Occorre davvero guardare avanti».