Là dove il degrado ha preso il posto delle chiacchiere

Il lavatoio di Bizzozero è abbandonato a se stesso: senza più acqua è ostaggio di incuria e vandali. Il silenzio delle istituzioni e gli orti a due passi

– Là dove c’era l’acqua ora giace un pacchetto di Camel light, vicino pagine di giornale, erbacce e una strana melma ricopre il fondo della vasca. Le pareti sono il manifesto dell’imbecillità oltre che un attentato al gusto, oggi sepolto come le mummie degli antichi faraoni.

Il lavatoio di Bizzozero

Il lavatoio di Bizzozero

(Foto by Mario Chiodetti)

Ciò che resta del vecchio lavatoio di Bizzozero è l’emblema dei nostri tempi e di un Paese che ha scordato ogni forma di rispetto per la cosa pubblica, così il luogo che un tempo era d’incontro e di utilità sociale somiglia a una piccola caserma Garibaldi, lasciata lì a morire nell’indifferenza generale.

A chi importa di un lavatoio – peraltro ancora in buone condizioni strutturali, qualche tegola rotta nel tetto ma le travi sono a posto – diventato rifugio di balordi e graffitari frustrati per non essere Basquiat?

Gli interni del lavatoio di Bizzozero

Gli interni del lavatoio di Bizzozero

(Foto by Mario Chiodetti)

Non è sempre così, per fortuna. A Casbeno è tutelato e chiuso da un cancello, durante la festa del rione lo si nobilita con qualche addobbo e lettura poetica, a Morazzone ristrutturato e segnalato da un cartello. Per non parlare di Cazzago Brabbia, dove qualche donna ci passa ancora a lavare il grosso e fare quattro chiacchiere, quando la fantasia di Chicco e Betty Colombo non ci inventa un recital a lume di candela con le ombre che si muovono sull’acqua.

Certo, siamo lontani dal tempo in cui si lavava sulle pietre in riva a fiumi e laghi o ai navigli milanesi, tanto da ispirare al compositore cinquecentesco Alessandro Striggio il madrigale “Il cicalamento delle donne al bucato”, meraviglioso divertimento in musica che termina con l’imperativo «Orsù, stendiamo questi panni», inno alla categoria cantata anche da Ettore Petrolini in un raro 78 giri intitolato “Lavannare”, con le ragazze che si affollano ad andar di sapone intorno a una fontana.
Però il lavatoio, che preservava le donne dalla borsite sierosa prepatellare più nota come “ginocchio della lavandaia”, ma non risparmiava loro belle screpolature alle mani e reumi vari, era una sorta di piccola piazza in cui sciorinare, oltre ai panni, anche le magagne di casa, gli amori infranti, i figli che crescono, il marito ubriacone, la padrona che si è fatta l’amante e paga sempre in ritardo.

Il lavatoio di Bizzozero

Il lavatoio di Bizzozero

(Foto by Mario Chiodetti)

Oggi sembra ancora di sentirle quelle voci, nella desolazione graffita di Bizzozero, e fa ancora più male sapere che lì a due passi persone, di certo memori del lavatoio in funzione, coltivano magnifici orti e magari potrebbero dare una mano a sistemarlo, vista l’assoluta latitanza delle istituzioni.

Va detto però che nemmeno gli abitanti del quartiere se la cacciano molto per il vecchio lavatoio, ci passano davanti, scuotono la testa, commentano il degrado e tirano diritto.
Niente proteste con magari qualche striscione, richieste di recupero del luogo, sit-in con volantinaggio, tutto scorre nell’indifferenza, perché ormai la cosa pubblica non ci tange più, l’importante è che il nostro privato non sia compromesso.

Il lavatoio di Bizzozero

Il lavatoio di Bizzozero

(Foto by Mario Chiodetti)

Eppure non servirebbero cure da cavallo per rimettere in sesto il lavatoio di Bizzozero: una mano di bianco (a cura e a spese dei vandali, magari), qualche lavoretto di carpenteria, giusto una recinzione in stile con un cancelletto, la chiave consegnata ai pensionati degli orti.
Recuperati il luogo e la memoria, ritornata l’acqua nelle vasche, spazio all’inventiva, con mostre di fotografia, di fiori (magari delle verdure più belle coltivate a pochi metri da lì), letture di poesie e musica con piccoli gruppi nelle sere di primavera. E chissà che non spunti qualche nonna con il fagottino di panni a «cuntàla su» assieme alle amiche davanti a un pezzo di sapone di Marsiglia e all’antico olio di gomito, oggi purtroppo raro quanto l’antimateria e pressoché sconosciuto ai nati nel Terzo Millennio.