La forza delle figlie di Piccolomo «Una fiaccolata per la verità»

Una fiaccolata per ricordare , prima moglie di , il killer delle mani mozzate, morta nel febbraio 2003 in un incidente sospetto. Tanto da convincere il giudice per le indagini preliminari di Varese, , a riaprire le indagini indagando lo stesso Piccolomo per omicidio volontario.

«Vogliamo ricordare nostra madre nel giorno del suo compleanno con una messa e una fiaccolata giovedì 19 dicembre alle 18 nella chiesa di Sant’Agostino a Caravate. Tutti sorridenti, come lo era lei», hanno comunicato ieri ufficialmente e , le figlie di Marisa.

A Caravate il 19 dicembre

Le due ragazze da anni si battono tenacemente chiedendo giustizia per la morte della madre. Sono state loro ad accusare, da subito, quel padre che le avrebbe anche molestate, di aver volontariamente assassinato la prima moglie. Di aver architettato tutto. Piccolomo era alla guida dell’auto che dieci anni fa uscì di strada, alle 4 del mattino, con una tanica di benzina a bordo. La tanica si rovesciò e la vettura prese fuoco: Marisa Maldera morì carbonizzata mentre il marito uscì miracolosamente illeso dall’incidente. Alle figlie avrebbe raccontato degli ultimi istanti di vita della moglie mentre bruciava chiedendo quell’aiuto che lui non seppe darle. Piccolomo patteggiò, con l’allora pubblico ministero , una pena a un anno e nove mesi per omicidio colposo.

Già allora le figlie lo accusarono di aver ucciso con fredda premeditazione per riscuotere i soldi dei premi assicurativi e sposare la seconda moglie, la lavapiatti del ristorante gestito dalla famiglia Piccolomo, con la quale l’uomo di fatto palesò una relazione meno di due mesi dopo la morte di Maldera.

Indagini riaperte

Tina e Cinzia ribadirono tutto anche durante il processo per l’omicidio di , il 5 novembre 2009 a Cocquio Trevisago, per il quale Piccolomo è già stato condannato all’ergastolo in due gradi di giudizio. E proprio al termine dell’udienza d’Appello le due ragazze rinnovarono il loro racconto al sostituto procuratore generale di Milano che invitò la procura di Varese a chiedere la riapertura delle indagini. L’empasse del ne bis in idem (l’impossibilità di processare due volte la stessa persona per lo stesso fatto) viene superata con una mutata narrazione dell’accaduto.

Le figlie, tra l’altro, hanno detto agli inquirenti di aver visto il padre che si causava delle bruciature alle mane poggiandole su un fornello: un modo per costruirsi un alibi. A indagini riaperte Tina e Cinzia ricordano la madre chiedendo, ancora con più voce, che le venga fatta giustizia.

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