VARESE – “La pressione era troppa a causa delle privazioni e dei controlli che mia figlia subiva. Se non fosse scappata di casa, lui l’avrebbe uccisa”. Lo ha detto Marta Criscuolo in tribunale a Varese dove è stata sentita come teste oggi nel processo per stalking a carico di Marco Manfrinati, il 40enne che un mese fa in via Ciro Menotti ha ucciso a coltellate il marito della donna, Fabio Limido, sfregiando al volto la figlia Lavinia, con lo stesso coltello, e lasciandola in fin di vita sulla strada.
Manfrinati, ex marito di Lavinia, oggi non era presente al processo in cui è accusato, per fatti risalenti al 2023, di atti persecutori nei confronti della ex moglie e della ex suocera.
Un giorno Manfrinati disse “uccido tutti e poi mi suicido”, ha ricordato Criscuolo, che nel processo è parte civile insieme alla figlia, ed è assistita dall’avvocato Fabio Ambrosetti. Il riferimento è all’estate del 2022, quando Lavinia era fuggita con il figlio dalla casa in cui abitava con l’allora marito – difeso dall’avvocato Fabrizio Busignani – e da lì era iniziato un lungo periodo di sofferenza e inquietudine per tutta la famiglia Limido. Il capo d’imputazione descrive minacce di morte arrivate via sms e whatsapp, passaggi sotto casa con colpi di clacson e insulti per i Limido, una parte di cancellata distrutta e una frase pronunciata al telefono e che riletta oggi mette i brividi: “Qui qualcuno finisce al cimitero o in terapia intensiva”.
Criscuolo ha spiegato come la figlia sia stata costretta a nascondersi da un’amica fuori provincia, ad indossare una parrucca mentre tutti in famiglia giravano con spray al peperoncino a portata di mano temendo Manfrinati. C’erano anche le umiliazioni, ha sottolineato la madre di Lavinia: “Io ero una terrona di m… e come tale, diceva Manfrinati, che è un filonazista, dovevo finire in un forno insieme a ebrei e omosessuali” con insulti per cui “un giorno mio marito lo aveva cacciato di casa e lui lo aveva colpito con tre pugni in faccia”. Il processo tornerà in aula ad ottobre.
(Fonte: Ansa)