Alle 19 di oggi muore il Varese 1910. È un momento epocale: finisce una storia splendida iniziata il 19 luglio 2004, quando venne depositato l’atto costitutivo della nuova società presieduta da Peo Maroso. Ora la speranza è che il Varese sappia risorgere ancora una volta dalle proprie ceneri, magari più forte di prima: è già accaduto altre volte nella sua storia, può accadere ancora.
Filippo Brusa, firma della Provincia di Varese e della Gazzetta dello Sport,
ha seguito tutta l’incredibile parabola del Varese 1910, fin dalla prima partita in Eccellenza a Parabiago.
«Da prima ancora – ci corregge subito – Ci sono “quelli di Parabiago”, ma anche “quelli di Caravaggio”, dove il Varese ha giocato la sua prima partita in assoluto tra i dilettanti, in Coppa Italia. Io c’ero, e ricordo bene il primo impatto con la nuova realtà dilettantistica: 3-0 per il Caravaggio, non c’era neanche il guardalinee. Rimediarono chiamando un dirigente accompagnatore del settore giovanile».
Già. A Parabiago eravamo già in tanti, al confronto. Col Caravaggio e la Giana Erminio in Coppa Italia (vittoria 3-2 ma in un clima tristissimo) il Varese ha capito subito con quale tipo di realtà avrebbe dovuto confrontarsi.
Una tristezza infinita. E pensare che l’anno scorso volevamo celebrare il decennale del Varese 1910 con un libro. Fortunatamente non l’abbiamo fatto, altrimenti l’ultimo capitolo si sarebbe intitolato “La morte del Varese”. Un finale triste. Ma anche una farsa pazzesca, se penso che questa proprietà il 10 giugno si è presentata a Palazzo Estense. E qualcuno ha avuto anche il coraggio di applaudirla.
E i fatti mi hanno dato ragione. Lo dico con la morte nel cuore, perché seguo il Varese fin da quando ero piccolo. Adesso provo paura per quello che potrebbe accadere, ma nello stesso tempo anche la speranza che qualcuno possa rifondare il Varese, come fece Riccardo Sogliano undici anni fa. Un pensiero va anche ai tanti creditori che non verranno pagati. Ci sono aziende che hanno fatto dei mutui per pagare i propri dipendenti, proprio perché non percepivano soldi dal Varese. In fondo i giocatori sono i più tutelati, ma in pochi pensano agli altri dipendenti e ai creditori.
Anche per questo auspico che qualcuno abbia la lungimiranza di far rinascere il Varese: bisogna fare di tutto per salvaguardare un patrimonio così prezioso. Il vivaio è sempre stato uno dei nostri punti di forza.
Non ho dubbi: quella del ritorno in Serie B, contro la Cremonese a Masnago. Sarà scontato, ma le emozioni che ho vissuto in quella gara, non le ho più provate. Sembrava una partita stregata: il Varese attaccava e attaccava, 12 angoli a zero nel primo tempo; il portiere Paoloni (poi diventato tristemente noto per il calcioscommesse) parò di tutto. Insomma, quel muro di cemento armato grigiorosso sembrava inespugnabile.
Quando ormai i cronisti di Cremona erano già convinti di avercela fatta. Che gol segnò Buba: mandò la palla a infilarsi tra il palo e Paoloni proteso in tuffo. Sannino disse ai ragazzi di giocare quella partita non pensando alla Serie B, ma con lo spirito di una squadra dell’oratorio. E in effetti da quel Varese sprizzava un fuoco che poi non vidi, ad esempio, due anni dopo nella finale playoff con la Sampdoria. Sì, la partita con la Cremonese è stata la più bella. Anche se Sannino non è d’accordo: lui mi ha detto che ricorderà sempre il 3-3 col Padova, perché nella prima parte della gara i veneti furono letteralmente annichiliti dal Varese.
Buzzegoli, senz’altro: un vincente nato, l’uomo della Serie B. Un altro calciatore di cui conservo bei ricordi è Silva Fernandes, il terzino della promozione in C1, poi passato al Legnano. Se il Varese riuscisse a ripartire, mi piacerebbe rivederlo in maglia biancorossa. E poi naturalmente Neto, anche per il gol storico contro il Torino all’esordio in Serie B.
Sicuramente Sean Sogliano: è stato il papà del Varese. Quando è andato via gli ho scritto che speravo di rivederlo presto in biancorosso. Mi ha risposto: un giorno tornerò, e lo farò a modo mio.
Servono persone oneste.
Direi di no. Ho anche provato a chiedere a Laurenza se non fosse imbarazzato per aver ceduto il Varese a un pregiudicato che ha ancora due anni di pena da scontare.
Mi ha detto che non poteva rispondere perché aveva il negozio pieno di gente. Ne approfitto per rifargli la domanda, e gli chiedo anche come ha scelto la persona che gli è subentrata, visto che Zeaiter si è disimpegnato subito dopo aver rilevato il 97% delle quote. I tanto vituperati Turri avrebbero risposto alle mie domande, magari insultandomi, ma non si sarebbero sottratti.
Sarebbe una vergogna. Spero proprio che qualcuno si metta una mano sulla coscienza e salvi una società che ha 105 anni di storia, e che ha rappresentato per questa città un catalizzatore di forze positive. Il Varese è più di una squadra di calcio: è una società che ha educato generazioni di varesini ai valori più belli e sani dello sport.
Sono i valori dei pionieri, quelli che giocavano in piazza del mercato pagando di tasca loro. Quelli che credevano nella maglia, come Sogliano. Il Varese è Piero Magni, che ha giocato in tutti i ruoli. È Franco Ossola morto a Superga. Sono i cannonieri della prima promozione in B negli anni ’40. È la forza del gruppo, come ha insegnato Beppe Sannino: da soli si combina poco, insieme puoi sfiorare la Serie a partendo dall’ultimo posto della C2. Questi sono i valori del Varese.