La notte prima della grande neve del 1985. Poi i casbenatt non bastarono più

Sembrava una domenica come tante ma ha cambiato la storia: era il 13 gennaio 1985. L’ex sindaco Gibilisco: «Io e i militari insieme a spalare». Furia: «Papà l’aveva detto»

Mentre il sole tramontava, domenica 13 gennaio 1985, in pochi avrebbero scommesso di ritrovare l’indomani mattina la neve a risvegliare Varese. Il cielo era sereno e all’orizzonte si profilava quel «rosso di sera» che fa sperare nel «bel tempo». Invece, la notte di lunedì 14 gennaio aveva riversato sulla città tanti fiocchi e in poche ore le strade si erano riempite di bianco. Non qualcosa di impossibile certo ma un inarrestabile crescendo: dai 25 centimetri di lunedì si era passati ai 60 caduti martedì 15.

Primato di accumulo di neve in sole 24 ore che durò fino al 2006: ma i 65 centimetri del 27 gennaio di dieci anni fa, si sciolsero rapidamente perché la nevicata si tramutò in pioggia il giorno seguente. Nel 1985, gli 85 centimetri messi giù lunedì 14 e martedì 15 gennaio aumentarono con i 32 di mercoledì 16 e i 5 di giovedì 17, per un totale record di un metro e 22.

È stata la nevicata del secolo, annunciata nei giorni precedenti da temperature polari con il termometro a scendere, in alcune località della provincia, addirittura intorno ai meno venti gradi, con il lago di Varese ovviamente ghiacciato. Per fronteggiare l’emergenza neve ci fu bisogno addirittura dell’esercito, come ricorda Giuseppe Gibilisco, sindaco democristiano dell’epoca: «Normalmente il Comune metteva sempre a bilancio le spese per eventuali nevicate, aveva una sua attrezzatura per liberare le strade e poteva contare sui contadini di Casbeno e suoi loro trattori.

Nel 1985 tutti questi mezzi non riuscirono a far fronte alle massicce precipitazione e dovetti chiedere aiuto al nostro concittadino, che era ministro per il coordinamento della protezione civile». Fu proprio lui a mandare l’esercito a Varese: «Arrivarono – prosegue Gibilisco tre mezzi militari: erano ruspe, chiamiamole così, con la pala davanti e quando partivano sulla neve le due ruote davanti si alzavano e quelle dietro spingevano. Una si ruppe subito ma le altre due funzionavano che era una meraviglia». Gibilisco, arrivato nel 1985 al termine del secondo mandato, era un sindaco che amava stare in prima linea: «Ho passato tutta la notte su uno di quei mezzi, nella cabina, insieme al militare che guidava.

È stata una bella esperienza e la neve che di solito viene spalata ai bordi della strada, in quel caso, doveva essere caricata e portata via. L’accumulammo in piazza Repubblica, che all’epoca era molto diversa dall’attuale e aveva lo spazio adatto per raccoglierla. Alla fine c’era un muro bianco alto quattro o cinque metri».

Gibilisco sorride: «Oggi la neve non si vede: magari ne arrivasse almeno un decimo di quella del 1985». Poi torna serio: «La somma che veniva messa in preventivo ogni anno per la neve, poteva essere spesa dopo il 15 febbraio, sempre che non ci fossero state precipitazione». «Allora, invece, non solo non ci bastò la cifra che avevamo messo a bilancio, ma fu necessario integrarla. Per fortuna ci venne in soccorso Zamberletti con l’esercito perché altrimenti non avremmo saputo proprio come fare». Gibilisco aveva dovuto far fronte a un’altra grande nevicata, nel 1978: «Non fu così abbondante ma, in quell’occasione, il nostro assessore ai lavori pubblici Ravasi usò addirittura la macchine asfaltatrici per ripulire le strade dalla neve».

Infine, l’ex sindaco svela un altro aneddoto: «Salii, insieme a mia moglie, al Campo dei Fiori per andare a trovare all’osservatorio. Ce l’abbiamo fatta a raggiungere la meta grazie a un Maggiolino attrezzato, con una pala davanti: passavamo in mezzo a due pareti di neve fresate dai ragazzi di Furia». A proposito di osservatorio veniamo a , figlio di Salvatore, indimenticabile meteorologo che al Campo dei Fiori fece scuola, formando generazioni di studiosi del clima. Anche in questo caso i ricordi sono vivissimi: «Ero piuttosto giovincello – dice Max – e da mio padre, in cima alla montagna, c’era un muro gigantesco di neve. Sembrava qualcosa di irreale e invece era lì davvero e per un ragazzino come me rappresentava qualcosa di entusiasmante.

Il risveglio al Campo dei Fiori era stato faticoso perché, a parte lo stupore, bisognava mettersi subito al lavoro. Dovevamo spalare la neve e liberare la strada per non rimanere intrappolati all’osservatorio». Furia ricorda quindi il papà: «Lui sapeva sempre muoversi in anticipo ed era considerato un visionario del meteo. Era molto battagliero e non gli mancavano i gesti plateali. Un giorno riempì la fontana di piazza Monte Grappa con l’acqua ammorbata del lago di Varese per cercare di smuovere l’opinione pubblica sul tema dell’inquinamento. Famiglia Cristiana gli dedicò una doppia pagina con una vignetta in cui erano raffigurati i carabinieri che lo inseguivano. Rischiai di dover andare a trovare mio papà in carcere».