«Una regola non c’è, perchè ogni allenatore, ogni gruppo di lavoro, ha i propri metodi. Quest’anno, però, stiamo davvero facendo tutto in comune. Tutti insieme».
Tra le montagne strette di Chiavenna c’è una stagione che sta nascendo in cordata, sintesi di esperienze professionali che si stringono insieme con la consapevolezza che non ci sia altro modo di affrontare la salita. È la salita di Varese, quella specifica che tradurrà in soldoni l’estate della consapevolezza e dell’onestà verso i tifosi, l’estate delle scommesse senza portafoglio, delle scelte talvolta obbligate. L’estate senza proclami. Un solo punto fermo: slegati, si cade.
Te lo fa capire anche il “Prof”, in una lunga chiacchierata che cerca di accarezzare le pecurialità di un preparatore atletico del basket, sfatando lungo il percorso anche alcuni falsi miti duri a morire. Marco Armenise, alla sua decima estate al servizio della causa biancorossa, personalità capace di trasmettere agli altri la passione verso una professione difficile, poco comprensibile ai neofiti e a volte pure grama nella faciloneria delle critiche che subisce (un classico dagli spalti: «Perché
questa squadra non corre?») non si trincera dietro dichiarazioni valide sia per il sole che per la pioggia. Lui parla del qui e ora, di questa salita: «Personalmente cerco sempre di mettere la mia esperienza a servizio dell’allenatore, cercando al contempo di capire quali siano le sue esigenze e gli obiettivi che ha in mente per la squadra. Ma con Attilio Caja, è la terza volta che collaboro con lui, so che la condivisione è al massimo livello possibile. Ogni momento del lavoro che stiamo svolgendo viene messo sullo stesso piano: è una soddisfazione, perché ti dà la sensazione di poter incidere davvero sulle sorti dell’intera squadra, non solo sullo stato fisico e atletico del singolo giocatore».
Tra le montagne strette della stessa Chiavenna di cui sopra, dettami tecnici e atletici fluiscono pertanto insieme, come se per la Varese dell’Artiglio da Pavia («che farà della corsa e dell’intensità una delle sue chiavi di volta: non saranno ammessi cali durante l’anno») non potessero esistere gli uni senza gli altri: «Anche perchè tante cose sono cambiate rispetto al passato – spiega Armenise – Anni fa i giocatori vedevano la palla solo dopo tre settimane, mentre oggi sarebbe assurdo fosse così: le squadre si radunano a un mese e mezzo dall’inizio del campionato, non c’è più il tempo per dividere in fasi distinte la preparazione. Il percorso allora, anche grazie agli studi e alle ricerche fatte in materia, è stato ottimizzato: esercitazioni più veloci, intervallate ai riposi».
Addentriamoci. Chi crede che, sotto la mano del “Prof”, Wells e compagni stiano semplicemente “facendosi il fiato” ha bisogno di un approfondimento: «L’attività cardio-metabolica in questa parte della stagione ha certamente il suo spazio, perché durante l’anno, con i tempi ristretti dettati dalle partite, assume più la forma di una “consulenza”. Il punto di partenza per chi fa la mia professione è però un altro: è studiare un modello di lavoro funzionale alle richieste specifiche della pallacanestro. Un giocatore di basket cambia continuamente la tipologia dei suoi movimenti: prima un salto, poi uno scivolamento laterale, poi una corsa… Il preparatore deve allora essere bravo sia nel fare in modo che nell’atleta tutto sia allineato per esprimere al meglio il gesto tecnico, sia nell’abbreviare il “costo” energetico di tali gesti». Come? «Studiando le caratteristiche dei singoli tramite dei test concordati non solo insieme allo staff tecnico, ma anche con la piena collaborazione dei medici, degli osteopati e dei fisioterapisti: guardiamo i giocatori in movimento e cerchiamo di capire come aiutarli».
La preparazione estiva diventa così anche un vademecum che spera di ricavare buoni frutti durante i mesi successivi: «Cerchiamo di impostare delle regole che valgano tutto l’anno, tese a far emergere le qualità dei singoli in modo che le stesse si traducano in vantaggi per la squadra e per il lavoro – anche tattico – dell’allenatore. Poi c’è il capitolo che riguarda la prevenzione degli infortuni….». Argomento scottante: «Magie non se ne possono fare. Conta piuttosto, anche qui, il gioco di squadra: se io so che Caja al pomeriggio ha in programma una seduta stressante, al mattino cerco di agire sulla prevenzione con esercizi specifici. Viceversa, se io ho l’esigenza di coinvolgere gli atleti in una sessione dispendiosa dal punto di vista metabolico, sarà Caja ad alleggerire il suo lavoro. La coperta è sempre corta e bisogna stare attenti».
Questo è il lavoro, questa è stata la risposta, finora, dei dodici che compongono la Varese 2017/2018: «Sempre grazie ad Attilio – confida il preparatore varesino – ogni momento degli allenamenti è impostato su regole e sacrificio, pienamente accettati dai giocatori. L’atteggiamento del gruppo mi piace: in tutti c’è la voglia di “auto-spingersi”, c’è la condivisione della fatica, c’è la vicinanza tra compagni che aiuta ognuno a fare un passo in più».
Slegati, si cade: ricordate? Marco Armenise è un altro che ha scommesso sull’elevazione di Varese in corso d’opera, quasi che la qualità del lavoro possa mettere una potenza vicino a numeri che oggi – così, da soli – valgono apparentemente poco. Lui, in questi dieci anni, ne ha viste tante, tante quante ne vede solo chi diventa davvero parte di un paesaggio che intorno cambia: «Un giocatore che mi è rimasto dentro? Kangur. Ho vissuto il Kangur “sano”, che aveva una potenza e una forza fuori dal comune. E ho vissuto il Kangur degli infortuni, che faceva del recupero un’esigenza. Al di là del fatto che con lui è nata una bella amicizia, non ho mai visto un atleta così…».